Il mio comandamento
Venerdì V Settimana di Pasqua
At 15,22-31 Sal 56 Gv 15,12-17
Cristo ha chiamato “amici” i suoi discepoli solo alla fine della sua vita, dopo aver fatto loro conoscere tutto ciò che aveva udito dal Padre, dopo aver rivelato la verità a coloro che egli aveva scelto. Un servo solitamente non conosce i segreti del suo padrone, invece Gesù ci ha fatto entrare nella sua intimità, coinvolge noi dentro la sua stessa vita, la dona per noi e ci ama di un amore forte e delicato. Per questo può parlare di amicizia e comandamento. È una proposta di gioia, di vita piena: io faccio così, fatelo anche voi! Eppure qualche volta ci può afferrare il timore di un Dio che entra nella nostra vita, proponendosi come amico, ma poi esige un’obbedienza che, in realtà, è quella che richiede un padrone. Allora, poiché ciascuno di noi ha i “suoi comandamenti”, si insinua la tentazione che sia meglio seguire una sorta di “mia legge” che stabilisco più o meno liberamente a seconda di quello che voglio raggiungere: la tranquillità (“evita le sfide, dai qualcosa, ma non tutto”), il primo posto (“trova un modo per avere sempre più riconoscimento e potere”), la propria giustificazione (“nota i difetti degli altri e ti sentirai migliore”), …Parafrasando la lettura degli Atti, possiamo dire “farete cosa buona a stare lontani da queste cose”. Ognuno ha i propri criteri di vita con i quali lottare perché il frutto dell’unico comandamento dell’amore rimanga.
Nel Pane, nel Vino, nel Tuo Corpo e nel Tuo Sangue ti doni a noi, totalmente, come servo: donaci la grazia di poter imparare ad amare come te.
Dalla Leggenda Maggiore di san Bonaventura [FF 1029] La dolce mansuetudine unita alla raffinatezza dei costumi; la pazienza e l’affabilità più che umane, la larghezza nel donare, superiore alle sue disponibilità che si vedevano fiorire in quell’adolescente come indizi sicuri di un’indole buona, sembravano far presagire che la benedizione divina si sarebbe riversata su di lui ancora più copiosamente nell’avvenire.
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