La benedizione della povertà
Giovedì II Settimana di Quaresima
Ger 17,5-10 Sal 1 Lc 16,19-31
Nella parabola di Lazzaro e dell’uomo ricco, colpisce un grande vuoto, quello della relazione tra questi due uomini: non si dice se si siano mai incontrati, parlati, conosciuti. Solo quando il racconto si sposta nell’aldilà, scopriamo che il ricco conosceva Lazzaro e comprendiamo allora la gravità di questo vuoto: la ricchezze, il confidare unicamente in se stesso e nelle sue possibilità, non hanno reso il ricco cieco o sordo ma, peggio, indifferente nei confronti di Lazzaro, visto e conosciuto ma lasciato fuori.
Quando scegliamo di confidare in noi stessi ci ritroviamo a tenere a distanza tutto ciò che è altro da noi, in particolare ciò che ci richiama alla debolezza e alla fragilità, perché potrebbe far vacillare la nostra – illusoria – sicurezza.
Ascoltiamo allora l’invito del profeta Geremia e riconosciamo la benedizione che c’è nel confidare nel Signore, nell’essere liberi di entrare in relazione con chi ci è accanto, perché il Signore è la nostra ricchezza e la nostra fiducia e non abbiamo nulla da perdere.
Scrutaci, o Dio, e conosci il nostro cuore, vedi se percorriamo una via di menzogna, e guidaci sulla via della vita.
Dalla Leggenda Maggiore di San Bonaventura [FF 1118-1119]
«Sappiate, fratelli, che la povertà è una via speciale della salvezza, giacché è alimento dell’umiltà, radice della perfezione. Molteplici sono i suoi frutti, benché nascosti. Difatti essa è il tesoro nascosto nel campo del Vangelo: per comprarlo, si deve vendere tutto e si deve disprezzare tutto quello che non si può vendere. […] In nessun modo, infatti, rinuncia perfettamente al mondo colui che conserva nell’intimo del cuore lo scrigno del proprio sentire»
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