due in uscita
In quel tempo, partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidòne.
Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quella regione, si mise a gridare:
«Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio».
Ma egli non le rivolse neppure una parola.
Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono:
«Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!».
Egli rispose: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele».
Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: «Signore, aiutami!».
Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini».
«È vero, Signore – disse la donna –, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni».
Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri».
E da quell’istante sua figlia fu guarita.
Domenica XX del tempo ordinario, anno A – Secondo la narrazione di Matteo, Gesù esce dal luogo dove i farisei e gli scribi onorano il Signore con le labbra, ma con il cuore lontano da lui (Gerusalemme). Si ritira allora in zona pagana, verso Tiro e Sidone. E’ un’allusione al passaggio della salvezza ai pagani (At 13,46ss).
La mancanza di fede in molti israeliti fa uscire Gesù dalle “sue” regioni per condurlo tra i pagani (Tiro e Sidone); la fede a sua volta fa uscire anche la pagana dal suo paese, per incontrarlo. Due moti dell’anima diventano due movimenti nello spazio. Chi si allontana da dove avrebbe dovuto esserci fede, chi nasconde una fede imprevista: i due si incontrano nella terra improbabile. Zone inquiete, lo dimostra il moto dell’animo dei discepoli…
In questa zona di irragionevolezza, l’accorato grido di aiuto della donna provoca sentimenti di fastidio tra i discepoli. «Mandala via», dicono i discepoli (possibile traduzione migliore di: «esaudiscila»). Nella loro missione verso i pagani, i missionari saranno tentati di essere dimissionari. Pietro stesso ad Antiochia si ritirerà dai fratelli pagani per ipocrisia, e ci vorrà un Paolo che gli resiste a viso aperto (cf. Gal 2), con la stessa forza di questa donna. A Pietro non bastò né la prima né la seconda pentecoste (cf. At 2,1ss; 4,23-31), né l’intervento diretto dal cielo, che gli impose di non chiamare immondo ciò che il Signore aveva purificato (At 10,15). È costante nella Chiesa la tentazione di «confiscare» il Signore, sottraendolo alle attese di chi lo desidera. Ma escludere il fratello dall’eredità, è rinnegare il proprio essere figlio dell’unico Padre.
La donna chiede aiuto, nonostante l’apparente sgarbato silenzio di Gesù e la resistenza dei suoi discepoli. Per la donna lui è tre volte “Signore” (vv. 22. 25. 27.), proprio quel Gesù che, dopo il fatto dei pani, i discepoli avevano scambiato per fantasma (14,26).
La fede di questa donna è grande, a differenza di quella dei discepoli, che è poca (8,26; 14,31); è grande come quella del soldato pagano, che suscita la meraviglia di Gesù (8,10). Per questa fede molti verranno da oriente e da occidente, e sederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe (8,11), sazi della beatitudine di chi mangia il pane del regno (Lc 14,15). Il Signore è venuto in terra per fare la volontà di questa donna: è la stessa del Padre nei cieli (6,10s), che vuol dare il suo pane a tutti i suoi figli. L’ora della fede è la stessa della salvezza, come per il figlio del centurione (8,13).
La tradizione francescana (mediata da Bibbia Francescana) antica fa vibrare l’intelligente ed arguta risposta della cananea a Gesù nelle pagine iniziali dell’opera “Sacrum commercium” quando si ricorda nel prologo una giusta dimensione della povertà evangelica:
«A buon diritto il regno dei cieli appartiene a coloro che di propria volontà, con intenzione pura e per desiderio dei beni eterni, non possiedono alcun bene terreno. E’ necessario che viva di cose celesti chi non si cura delle terrene, che degusti felice nel presente esilio le dolci briciole che cadono dalla mensa (Mt 15,27) degli angeli santi chi considera come sterco ogni cosa (Fil 3,8) e rinuncia a tutti i beni del mondo, meritando così di gustare quanto è dolce e soave il Signore. Questa è la vera investitura del regno dei cieli, è sicurezza di eredità eterna nel regno e quasi un pregustare santamente la felicità futura» (FF 1961).
E anche s. Antonio di Padova, francescano, nei suoi Sermoni, si sofferma a lungo nell’episodio di Gesù e la cananea. Tra le altre cose, dice:
«“Abbi pietà di me, Signore, Figlio di Davide!” Questa deve essere la preghiera propria dell’anima pentita, che ritorna alla penitenza sull’esempio di Davide, il quale dopo l’adulterio e l’omicidio fece una vera penitenza. Dice dunque [la cananea]: “Abbi pietà di me, Signore, Figlio di Davide”; come dicesse: “O Signore, tu hai voluto discendere dalla famiglia e dalla tribù di Davide, per infondere la grazia e porgere la mano della misericordia ai peccatori che si convertono, che sull’esempio di Davide sperano nella tua misericordia e fanno penitenza. “Abbi dunque misericordia di me, o figlio di Davide!”“» (Sermone per la II domenica di quaresima [2]).
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