Il “laboratorio” delle Clarisse
I laboratori nei monasteri richiamano quanto santa Chiara scrive nella Regola sul lavoro: «Le sorelle alle quali il Signore ha dato la grazia di lavorare, lavorino, dopo l’ora di terza, applicandosi a lavori decorosi e di comune utilità, con fedeltà e devozione, in modo tale che, bandito l’ozio, nemico dell’anima, non estinguano lo spirito della santa orazione e devozione, al quale tutte le altre cose temporali devono servire. E l’abbadessa o la sua vicaria sia tenuta ad assegnare in capitolo, davanti a tutte, il lavoro che ciascuna dovrà svolgere con le proprie mani» (RsC 7,1-2: FF 2793).
Per quanto riguarda il lavoro, Chiara, come Francesco, vuole lavorare «con le sue mani». È un’espressione di san Paolo adottata all’inizio del secolo XIII da coloro che cercano di promuovere un nuovo atteggiamento nei riguardi del lavoro, che è segno di minorità. A San Damiano, le suore lavorano per la loro sussistenza ma anche per dare, confezionano i corporali con tele preziose che distribuiscono a tutte le chiese della regione. È questo il paradosso economico di San Damiano, ovvero lavorare per donare e mendicare per vivere. Il lavoro non riveste un carattere economico ma è una scelta di povertà: se oggi poter lavorare è diventato quasi un privilegio, allora non lavorare era un privilegio soltanto dei nobili.
E del frutto del loro lavoro non si faceva commercio, veniva ricambiato con le elemosine, il salario era il dono della misericordia.
Ancora, il lavoro è utile perché eleva a Dio. Chiara nella Regola dice che il lavoro serve per evitare l’ozio, nemico dell’anima, e definisce i modi in cui deve avvenire l’attribuzione dei diversi lavori tra le sorelle. Considera il lavoro manuale uno degli aspetti fondamentali della propria esperienza spirituale, e lei stessa, anche se inferma a letto, voleva lavorare con le sue mani dando l’esempio, non solo alle sorelle presenti con lei a san Damiano, ma anche a noi oggi. Come testimoniano le sue sorelle nel processo di canonizzazione, Chiara filava il lino seta, altre ne facevano un tessuto, altre cucivano e facevano dei corporali per le chiese delle diocesi. A questo si affiancava il lavoro della terra, dell’orto, per il sostentamento della comunità.
Il lavoro appartiene dunque alla forma della vita povera, e favorisce l’unione con Dio, se fatto senza estinguere lo spirito di orazione e di devozione.
Chiara pienamente inserita nel suo tempo con le sue evoluzioni, mantiene nel cuore stesso delle città borghesi dove il denaro è re, il fermento evangelico della povertà, come richiamo alla prima beatitudine. Il lavoro era ripartito tra le sorelle per, come dice la regola, amarsi e nutrirsi reciprocamente con più affetto di quello con cui una madre ama e nutre una figlia carnale.
La carità è il segnale e la prova più evidente dell’atteggiamento prettamente evangelico di vita interiore e la nota qualificante della spiritualità francescana. Essa si esprime nei concetti e nelle virtù caratteristiche della minorità, della povertà intesa come mezzo fondamentale di libertà interiore, efficace testimonianza della vita di comunione in Cristo e con Cristo.
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