Dall’insediamento di Ugolino a tutore dell’ordine alla morte del vicario Pietro Cattani
Il Cardinale impose da subito la sua autorità e rimosse tutte le deliberazioni del Capitolo di Pentecoste; inoltre, tra i primi provvedimenti, dettò quelli orientati a regolare la vita comportamentale dei frati, ponendo per prima cosa più rigore per l’ammissione all’Ordine.
Di lì a poco, sulla trama predisposta da Ugolino e accettata, suo malgrado, da Francesco, Onorio III, dalla sede provvisoria di Orvieto, emanò la bolla “Cum Secundum”, con la quale rendeva obbligatorio, per essere accolti alla “professione” di Frate Minore, il noviziato di un anno, prescrivendo il divieto, una volta presi i voti, di uscire dall’Ordine.
La “Bolla” introduceva la gerarchia e dettava le norme comportamentali dei frati nelle opere missionarie. Queste prescrizioni segnarono il giro di boa della mutazione della libera fratellanza francescana verso un Ordine regolare secondo il diritto Canonico. Francesco, che era stato sempre riluttante ad omologare la sua Regola a quella di un qualsiasi ordine monastico, doveva ora accettare quell’impostazione molto distante dall’umiltà e dalla semplicità della sua concezione di vita, secondo Cristo, l’unica per lui capace di dimostrare al mondo che l’amore, la serenità e la felicità nell’uomo sono indissolubilmente saldate ai precetti evangelici e solo ad essi.
Purtroppo, però, alla libertà della vita francescana si frapponeva il disegno del Cardinale Ugolino, il cui obiettivo era quello di annettere, perfettamente integrato, alla Curia di Roma, il sempre più imponente Ordine dei Frati Minori. Inoltre, Ugolino riteneva che Francesco non era nella possibilità di adempiere, perché malato, ma soprattutto per il suo irrefrenabile temperamento missionario, ai doveri di “guida” della Fratellanza.
Gli consigliò, quindi, di affidare ad un Vicario, permanentemente presente a Santa Maria degli Angeli, l’effettiva direzione dell’Ordine, riservandosi per sé la guida spirituale. Francesco colse l’intrinseco senso imperativo del suggerimento del Cardinale e, così, nell’affollato Capitolo straordinario, convocato nella ricorrenza di San Michele, “prese per mano frate Pietro, lo condusse in mezzo all’adunanza” e lo elevò a Vicario dell’Ordine.
Sullo sfondo del Capitolo di San Michele, dalle terre egiziane giungeva la notizia della disastrosa spedizione dei crociati alla conquista del Cairo, voluta caparbiamente dal Cardinale Pelagio, in contrasto col parere di tutti ed in particolare di Giovanni, re di Gerusalemme, ponendo così infaustamente fine a quella quinta Crociata, che vide migliaia di morti ammassati ed abbandonati sulle sponde del Nilo e per i soldati superstiti, ostaggi del Sultano Melek-el-Kamel, barattare la libera ritirata in cambio di Damietta.
Sull’ancora bruciante sconfitta della quinta Crociata nella spedizione egiziana, a Roma, il Papa incoronò imperatore Federico II. Nella solennità di quella cerimonia Federico s’impegnò ad emanare importanti leggi a favore della Chiesa e promise di promuovere, per l’estate successiva, una nuova crociata per la conquista della Terra Santa.
Nel fermento ancora vivo suscitato da quell’evento di distensione tra papato e impero, ad Assisi, si chiuse il sipario sul vicariato di Pietro Cattani; infatti, egli, dalla Porziuncola, restituì l’anima a Dio e il corpo alla Terra, a meno di sei mesi dall’incarico.
La morte di Pietro poneva seri problemi di successione alla guida dell’Ordine, nel quale bisognava individuare una personalità di grande spiritualità, predisposta, però, alla mediazione e alla diplomazia per rimuovere i contrasti interni, ma anche capace d’imporsi, con la necessaria autorevolezza, nei rapporti esterni alla Fratellanza.
(da “Nacque al mondo un Sole” di Nicola Savino/17)
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