Dalle prime missioni al Capitolo Generale
Intanto, più la fratellanza cresceva più si dilatava lo spazio della missione apostolica dei frati. Francesco era in continuo movimento; l’Umbria, ormai, la conosceva a palmo, per averla attraversata passo dopo passo in lungo e in largo. E dall’Umbria mosse verso le Marche e su nelle terre Toscane e più a nord in quelle Lombarde.
Sempre dalle sue missioni ritornava alla Porziuncola, per poi, rinvigorito nello spirito da lunghe meditazioni, riprendere il cammino giù a sud nel Lazio e, dalla Terra dei Papi, verso l’Abruzzo; da qui, attraverso la Campania, nelle Puglie; una volta là, muoversi ad oriente verso il monte Gargano, dimora dell’Arcangelo Michele.
Più peregrinava, più avvertiva il desiderio di portare Cristo al di là delle acque, nelle terre che lo videro uomo e, a suo nome, predicare con le armi dell’amore, ai temuti musulmani sunniti in perenne conflitto con i cristiani, la pace, la fratellanza e la concordia.
Così, Francesco s’imbarcò con l’intenzione di raggiungere la Siria, ma un naufragio dirottò l’imbarcazione sulle coste della Dalmazia. Costretto a terra, sfumata la missione, salì clandestino su una vecchia nave mercantile diretta ad Ancona ove approdò e di là, attraverso le Marche, tappa dopo tappa, predica dopo predica, ritornò nei suoi luoghi congeniali, alla sua terra, alla sua fratellanza. Si amplificavano, in quel periodo, le opere missionarie; a gruppi, i frati della Porziuncola si espandevano a macchia d’olio in ogni regione d’Italia. Francesco con frate Leone s’incamminò verso la Romagna e in quei luoghi, mentre stava attraversando la regione di Montefeltro, giunto nei pressi del castello di San Leo, sentì provenire dalle mura di quella fortezza squilli di tromba, vibranti tamburi e canti di menestrelli, a coronamento di un convivio tra blasonati di diverse Contee.
Attratto da tanto trambusto, volle colà recarsi e, appena innanzi alla soglia, montò su un muretto e, a voce sostenuta, improvvisò in chiave lirico – cortese una predica dal tema: “Tanto è quel bene ch’io aspetto, che ogni pena m’è diletto”. Su quell’ allocuzione sviluppò un ispirato panegirico con tale passione da attrarre l’attenzione di tutti i convitati.
Tra gli ospiti in quel castello vi era il Conte Orlando Catani, il quale, affascinato da quella predica, chiese di parlare con Francesco per esporgli i problemi del suo spirito inquieto; alla fine, commosso da quel colloquio liberatorio, volle concedergli, a titolo gratuito e per sempre, utile per i ritiri spirituali suoi e dei suoi frati, il selvatico e solitario Monte della Verna, nella Valle del Casentino, suo possedimento nella Contea di Chiusi. Fu quello per la fratellanza un periodo di condivisa euforia; l’intera comunità era in fermento, fibrillata da un perpetuo andirivieni, che coinvolgeva un po’ tutti i frati, molti dei quali costretti a lunghe assenze dalla Porziuncola, ormai inadeguata a contenere il romitaggio di tanti discepoli.
Francesco, felice ma al contempo preoccupato che il numero sempre più folto di aderenti all’Ordine e le continue missioni apostoliche potessero nel tempo svilire l’identità della vita totalmente e puramente evangelica e sfibrare la sua originaria matrice di identificazione con Cristo, stabilì che tutti i frati, ovunque si trovassero, ritornassero per radunarsi in assemblea plenaria, una volta all’anno, in Santa Maria degli Angeli, nella solennità della Pentecoste. Le adunanze, che furono poi denominate “Capitoli Generali”, si articolavano in vari seminari, intervallati da preghiere e meditazioni. In ogni seminario la guida di ogni gruppo di frati, il cosiddetto “guardiano”, rapportava l’esperienza maturata nell’anno; a conclusione dei lavori venivano emanate, se necessarie, delle deliberazioni generali, che tutti erano tenuti, in obbedienza, ad osservare.
(da “Nacque al mondo un Sole” di Nicola Savino/13)
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