Dio si fa pane
San Paolo, nella Prima lettera ai Corinzi (11,23-26), ci offre la preziosa testimonianza del memoriale dell’eucaristia istituita e donata da Gesù Cristo il Giovedì Santo. San Paolo non era tra i dodici quella sera: la sua conversione arriverà molto tempo dopo la resurrezione di Cristo… Anche Paolo – dunque – come noi si affida alla testimonianza degli apostoli:
«Fratelli, io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me».
Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me».
Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga».
Sorprende ed affascina questa insistenza tutta paolina del «fate questo in memoria di me». Una sorta di “lascito testamentale” che da solo giustifica a dismisura la necessità di celebrare e partecipare all’eucaristia, letteralmente “rendimento di grazie”.
In un seminario francescano un docente di liturgia spesso faceva questa domanda ai suoi alunni: “Perché celebriamo la santa messa?”. Ne uscivano risposte più diverse, di grande spessore teologico e dottrinale, con citazioni di documenti magisteriali e patristici… Il professore scuoteva la testa…: “Ciò che dici è esatto, ma non è la risposta giusta…”. Lo studente si arrendeva, spesso dopo aver frugato ogni angolo di nozioni imparate. Al ché il professore chiosava: “Ma perché ce lo ha chiesto Lui! «Fate questo in memoria di me!»”.
E’ proprio vero: ce lo ha chiesto lui. Ce lo chiede lui di farsi presente a noi in questo modo mirabile nella sua disarmante semplicità. Si partecipa e si celebra l’eucaristia perché è lui che ci invita! In attesa della sua venuta, egli è con noi in quel pane spezzato e in quel vino versato: suo corpo e suo sangue.
Alcuni secoli fa frate Francesco – pur non essendo teologo – aveva ben compreso nella sua vita questo mistero (Ammonizioni, I,16-22: FF 144-145):
Ecco, ogni giorno il Signore si umilia, come quando dalla sede regale discese nel grembo della Vergine; ogni giorno egli stesso viene a noi in apparenza umile; ogni giorno discende dal seno del Padre sull’altare nelle mani del sacerdote.
E come ai santi apostoli si mostrò nella vera carne, così anche ora si mostra a noi nel pane consacrato.
E come essi con la vista del loro corpo vedevano soltanto la carne di lui, ma, contemplandolo con occhi spirituali, credevano che egli era lo stesso Dio, così anche noi, vedendo pane e vino con gli occhi del corpo, dobbiamo vedere e credere fermamente che è il suo santissimo corpo e sangue vivo e vero.
E in tal modo il Signore è sempre con i suoi fedeli, come egli stesso dice: «Ecco, io sono con voi sino alla fine del mondo».
Da queste considerazioni nasce lo stupore (Lettera ai fedeli II,26-29: FF 221; id., 8: FF 209)
«Tutta l’umanità trepidi, l’universo intero tremi e il cielo esulti, quando sull’altare, nella mano del sacerdote, è presente Cristo, il Figlio del Dio vivo.
O ammirabile altezza e stupenda degnazione! O umiltà sublime! O sublimità umile, che il Signore dell’universo, Dio
e Figlio di Dio, si umili a tal punto da nascondersi, per la nostra salvezza, sotto poca apparenza di pane!
Guardate, fratelli, l’umiltà di Dio, e aprite davanti a lui i vostri cuori; umiliatevi anche voi, perché siate da lui esaltati.
Nulla, dunque, di voi trattenete per voi, affinché tutti e per intero vi accolga Colui che tutto a voi si offre. […]
Non dovremmo sentirci mossi a pietà per tutto questo, dal momento che lo stesso pio Signore si mette nelle nostre mani e noi lo tocchiamo e lo assumiamo ogni giorno con la nostra bocca?»
Francesco non si concentra sul problema di come del pane possa essere corpo di Cristo (problema che del resto aveva avuto una prima importantissima definizione ufficiale proprio al tempo di Francesco, nel 1215, in occasione del Concilio Lateranense IV, con la dottrina della transustanziazione).
Francesco resta attonito e pieno di gratitudine nel rendersi conto che nell’eucaristia è Dio che si fa pane per noi. «Guardate, fratelli, l’umiltà di Dio, e aprite davanti a lui i vostri cuori; umiliatevi anche voi, perché siate da lui esaltati».
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