Il digiuno
La liturgia di oggi (Is 58,1-9 e Mt 9,14-15) ci dà l’occasione di riflettere sul digiuno, una pratica penitenziale, particolarmente consigliata nel tempo di Quaresima.
Sfogliando le pagine della Bibbia vediamo che il digiuno è spesso associato alla preghiera (Dt 9,9; Esd 8,21-23; Ne 1,4; Est 4,16; Dan 9,3; Gl 2,12-13, 2Sam 12,16; At 13,2). Gesù stesso, quando viene condotto dallo Spirito nel deserto, digiuna per quaranta giorni e quaranta notti (cf. Lc 4,1-2). Digiuna dal cibo, ma non dalla Parola del Padre, grazie alla quale riesce a non cadere nelle brame del nemico. Il digiuno, quindi, sembra dare maggiore forza alla preghiera ed è opportunità di purificarsi, di lasciare che Dio converta il proprio cuore e lo renda forte di fronte alla tentazione.
Anche Francesco, quando il padre scopre che è nascosto a san Damiano, «nel digiuno e nel pianto invocava la clemenza del Salvatore e, diffidando di se stesso, poneva tutta la sua fiducia in Dio» (1Cel 10: FF 336). Questa è forse la sua prima esperienza di digiuno, ma esso diventa man mano una via privilegiata di conversione, da lui fortemente praticata, tanto che alla fine della vita dovrà chiedere scusa a “fratello corpo”. Francesco, infatti, oltre alle due o tre quaresime previste dalla Regola, e caldamente raccomandate ai suoi frati, (cf.RnB III,11-13: FF 12 e Rb III,5-9: FF84), osserva il digiuno in altre quaresime che vive personalmente: in onore dei santi (LegM 9,3: FF1167); della beata Vergine (LegM 9,3: FF 1165); di san Michele (2Cel 197: FF 785).
Nella Lettera ai Fedeli Francesco raccomanda: «Dobbiamo anche digiunare e astenerci dai vizi e dai peccati e da ogni eccesso di cibi e di bevanda ed essere cattolici» (2Lf 32: FF 193). Possiamo dire che per Francesco il digiuno è un mezzo, un aiuto nel cammino di conversione, il cui scopo è quello di allenarsi a dire no a noi stessi per poter dire si a Dio e alle esigenza del suo Regno.
La Chiesa, a distanza di tanti secoli, continua a raccomandare il digiuno (puoi consultare qui la Nota Pastorale della CEI) come pratica che aiuta la vita spirituale e che ci fa toccare con mano che la fede è un fatto che coinvolge tutta la persona, corpo e spirito.
Mi pare di poter dire che il digiuno ci dà la possibilità di avvertire, anche fisicamente, quel vuoto, che è costitutivo di ognuno di noi, che può essere riempito solo da Lui e, quindi, ci fa desiderare di stare in preghiera davanti al Signore. Ci aiuta ad apprezzare il valore di quello di cui ci cibiamo, a pensare alle tante persone che non hanno da mangiare e che il digiuno lo praticano sempre, non per scelta, ma per mancanza di cibo e di denaro. Il digiuno è ancora occasione per ascoltare la nostra fame più profonda, nei confronti di noi stessi, di Dio, degli altri e, quindi, ci aiuta a dominare le nostre passioni, a capire ciò che è importante e a saper scegliere ciò che è bene per una vita buona.
Il digiuno è una forma di ascesi che ci aiuta a educare la sensibilità attraverso la rinuncia a un approccio superficiale e scontato di quanto la vita ci offre come dono e possibilità. Esso contribuisce, dunque, a farci camminare sulla via della conversione e dell’amore, poiché ci rende attenti e sensibili anche agli altri. Digiunare non è semplice, ma è possibile se se ne coglie il senso profondo, quello cioè di un mezzo che mi apre a Dio e agli altri.
Per arrivare a gustare e a far propria la pratica del digiuno, forse è importante partire da piccole e possibili altre forme di digiuno, non meno difficili e impegnative: digiuno dalle parole superflue e distruttive per lasciare spazio all’ascolto profondo di Dio, degli altri e di se stessi. Digiuno dai programmi inutili della TV per lasciare spazio al dialogo familiare e comunitario. Digiuno dai social, dai discorsi in chat per incontrare gli altri di persona e poter godere della bellezza di guardarsi negli occhi. Digiuno da qualche impegno di troppo per poter gustare l’amicizia con Dio e con gli altri. Il Signore ci doni il coraggio di saper vivere tutto questo.
Lascia un commento
Devi eseguire il login per commentare.