N come… nebbia!
La nebbia è, almeno per chi di noi abita soprattutto dalle parti della pianura Padana, di casa. Per certi versi non ci fa problema perché ci viene data in dote alla nostra nascita: è persino suggestiva nel suo fasciare tutte le cose e renderle impalpabili ed evanescenti. A noi sembra di aggirarci in un mondo surreale, dove tutti i colori sono appiattiti ma solo affinché alcuni di loro possano imporsi in tutta la loro improbabilità: avete mai scorto un albero di cachi carico di frutti arancioni durante una giornata di nebbia? È uno spettacolo! Tutto ciò, evidentemente, fino a che le auto hanno cominciato ad invadere le nostre strade, di fatto facendo della nebbia una sorta di “killer silenzioso”, per cui oggi essa è protagonista di incidenti purtroppo anche gravi (colpa sua o per la velocità e l’imperizia nostra?).
Per chi, invece, come Francesco e Chiara d’Assisi viveva e vive nella solare Umbria o in genere in centro Italia, la nebbia come fenomeno atmosferico è forse un’esperienza più rara. E infatti nelle Fonti Francescane non se ne fa mai menzione in tal senso. Ciò nonostante, però, la nebbia come metafora e simbolo di situazioni ed esperienze “evanescenti”, dove si fa fatica a vedere bene e perciò a “possedere” ciò che ci sta attorno o che stiamo vivendo perché i contorni delle cose sono offuscati (talvolta si usa dire: «brancolare nella nebbia»), è entrata anche nel linguaggio francescano. Probabilmente anche attraverso la Bibbia.
La nebbia, infatti, entra di diritto nel novero delle creature abilitate a lodare il Signore: «Lodate il Signore dalla terra, […] fuoco e grandine, neve e nebbia» (Sal 148,7-8; san Francesco cita questo Salmo nella sua Esortazione alla lode di Dio: FF 265a). Ma poi diventa ben presto modo di dire: «La nostra vita […] / si dissolverà come nebbia / messa in fuga dai raggi del sole» (Sap 2,4). Mentre per Isaia la «nebbia fitta» che «avvolge i popoli» (Is 60,2) sarà squarciata dalla luce della gloria del Signore che viene. Forse anche l’incipit famoso del libro di Qoelet, «Vanità delle vanità» (Qo 1,2), in ebraico potrebbe alludere a qualcosa di simile alla nebbia (la parola hebēl rimanda a qualcosa di evanescente, vaporoso, fumoso).
Allora così viene chiarita la chiaroveggenza di Francesco: «il suo intelletto» era «libero dalla nebbia densa delle cose terrene» (2Cel 54: FF 640). Ed è faccenda di spirito. Mentre al gruppetto di frati, guidati da fra Cesario da Spira, in viaggio verso la Germania, dalle parti del passo del Brennero capitò per la fame che «la vista cominciò ad annebbiarsi, le gambe ad infiacchirsi, le ginocchia a piegarsi per il digiuno» (Giordano 21: FF 2348).
Ma lasciamo a Chiara di concludere con il suo linguaggio mistico: «Chi allora potrebbe impedirmi di gioire per così numerosi e mirabili motivi di gaudio? Gioisci dunque anche tu nel Signore sempre, carissima, e non ti avvolga nebbia di amarezza, o signora in Cristo amatissima, gioia degli angeli e corona delle sorelle» (3LAg 9-11: FF 2887; nella citazione di Gb 3,5, Chiara sostituisce “nube” con “nebbia”).
(Alfabeti improbabili. A zonzo tra Bibbia e Fonti Francescane/40)
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