U come… uccelli!
Nella creazione arrivarono al quinto giorno, assieme a mostri marini e pesci (Gen 1,14-19). Coinvolti nel disastro del diluvio universale (Gen 6,7), una coppia di ciascuno di loro trovò anch’essa rifugio nell’arca (Gen 7,3). Ma poi non si fermarono più. Di volta in volta furono in qualche modo beneauguranti, come lo fu la colomba liberata da Noè per verificare se alfine qualche lembo di terra asciutta fosse ricomparso (è la colomba con nel becco una tenera foglia di ulivo, diventata per noi simbolo della pace, Gen 8,11), le quaglie nel deserto per la fame del popolo (Es 16,13), tutti gli uccelli dell’aria capaci anch’essi di benedire il Signore (Dn 3,80); oppure più o meno “uccelli del malaugurio”, come lo sono i tanti uccelli, a quanto pare avvoltoi o simili, più volte evocati per divorare i cadaveri (Dt 28,26; Ez 39,4; Ap 19,21), oppure adorati come dei (Rm 1,23) o probabilmente usati nella divinazione, come usavano fare molti popoli pagani, e come invece sarà vietato per gli ebrei (Lv 19,26).
Ma forse le due, tra le tante, immagini più evocative e memorabili con protagonisti gli uccelli sono rispettivamente una dell’Antico e una del Nuovo Testamento. La prima è nei Salmi: «Siamo stati liberati come un passero / dal laccio dei cacciatori: / il laccio si è spezzato / e noi siamo scampati. // Il nostro aiuto è nel nome del Signore: / egli ha fatto cielo e terra» (Sal 124,7-8), che è immagine fortissima per dirci dell’amore liberatore di Dio. L’altra ci è raccontata da Gesù stesso: «Guardate gli uccelli del cielo: non seminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro?» (Mt 6,26), e siamo ancora nel tema di cui sopra. Del resto Gesù amava spesso citare gli uccelli nelle sue parabole (cf. Mt 13,4; Mc 4,31-32), fino a prenderli come paragone per la sua stessa vita: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo» (Lc 9,58)!
San Francesco è a furor di popolo amico e patrono degli uccelli. Per via della predica che più volte fece direttamente agli amici pennuti: a Roma (Ruggero 7: FF 2288), presso Cannara (Fior 16: FF 1846) o presso Bevagna (1Cel 58: FF 424), località entrambe in provincia di Perugia e a pochi chilometri l’una dall’altra e che forse si contendono un unico episodio, nelle paludi di Venezia (LegM 8,9: FF 1154). Fioretti molto francescani, ma attenzione! In alcune di queste situazioni, Francesco si reca a predicare agli uccelli non per poesia, ma perché gli uomini non stanno ad ascoltarlo… È anche vero che alla sua prima salita alla Verna Francesco verrà accolto da uno stormo di uccelli festanti (LegM 8,10: FF 1157), mentre alla sua morte «uno stormo di allodole prese a volare a bassa quota sopra il tetto della casa dove giaceva» (CAss 14: FF 1560). Ma come la mettiamo con questi piccoli uccellini quasi affidati dai genitori ai frati? Finché «il maggiore cominciò con superbia a perseguitare i più piccoli. Si saziava egli a volontà e poi scacciava gli altri dal cibo. “Guardate – disse il padre – questo ingordo: pieno e sazio lui, è invidioso degli altri fratelli affamati. Avrà di certo una brutta morte”. La sua parola fu seguita ben presto dalla punizione: salì quel perturbatore della pace fraterna su un vaso d’acqua per bere, e subito vi morì annegato. Non si trovò gatto o bestia che osasse toccare il volatile maledetto dal santo» (2Cel 47: FF 633)!
(Alfabeti improbabili. A zonzo tra Bibbia e Fonti Francescane/37)
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