H come… Hallel!
Con esso si intendono 6 salmi, dal 113 al 118, introdotti dall’acclamazione «Alleluia» (Sal 113,1). Dall’ebraico Hallelu e Yah, “lodiamo Dio”, questa sestina di salmi veniva e viene cantata solennemente dagli ebrei nelle feste più importanti, tanto che, per sottolinearne l’importanza, ne introducono la recita con una benedizione apposita: «Benedetto sii Tu, Dio nostro, Re del Mondo, che ci ha santificato con i Suoi precetti e ci ha permesso di completare l’Hallel». In particolare, assieme al Sal 136 che viene definito il Grande Hallel (il ritornello «perché il suo amore è per sempre» vi viene ripetuto per ben 26 volte, uno per versetto), l’Hallel è la preghiera della cena pasquale, e più esattamente i primi due salmi 113-114 sono cantati prima del pasto e gli altri quattro dopo il pasto: nel rievocare la liberazione dalla schiavitù d’Egitto, il popolo ebraico loda la potenza liberatrice della misericordia di Dio. Potenza di cui hanno beneficato non solo i padri antichi, ma che lambisce l’esistenza di ognuno dei figli di Dio. Potenza che libera non solo dalla schiavitù umana, esteriore, ma anche da quella del male, interiore. Significativamente nella liturgia cristiana il canto cosiddetto dell’Alleluia è quello che precede la proclamazione del Vangelo.
Probabilmente, perciò, è stato pregato da Gesù anche nell’ultima Pasqua celebrata con i discepoli; ad esso sembra infatti alludere l’annotazione degli Evangelisti: «Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi» (cf. Mt 26,30; Mc 14,26). «L’orizzonte della lode illumina così la difficile strada del Golgota» (Benedetto XVI, Il Salmo 136, udienza generale del 19 ottobre 2011). Dove perciò la liberazione diventa in pienezza quella che ci è donata dalla morte e resurrezione di Gesù! Una preghiera che diventa proclamazione della bontà di Dio non in maniera astratta o generica, ma vera e propria memoria delle meraviglie fatte dal Dio di Gesù Cristo nella vita di ognuno di noi e delle nostre comunità.
Non ci stupiamo allora se i cristiani di tutti i tempi abbiano fatto abbondante uso di questi salmi. E così Francesco e Chiara. Francesco li cita abbondantemente (cf. Sal 136,1 in LOrd 8: FF 216; Sal 115,15 in LOrd 49: FF 232), san Bonaventura prende in prestito dal Sal 136,13 l’immagine del mare che si divide per parlarci della gloria di Francesco, che grazie alla Croce farà passare indenni i suoi discepoli in questo mondo (LegM 10,9: FF 1329), mentre Angelo Clareno sembrerebbe piuttosto citare il Sal 114,1 per sferrare una delle sue stilettate alla degenerazione dei frati che non vogliono seguire Francesco, che pure aveva loro indicato la strada (Clar 1: FF 2155). Sora Agnese di messere Oportulo testimonia che le ultime parole da lei udite dalla bocca di Chiara furono quelle del Sal 116,15: «Pretiosa in conspectu Domini mors sanctorum eius» (Proc 9,10: FF 3078, naturalmente in latino!). Mentre l’invito «Lodate il Signore» (Sal 117,1), Chiara lo rivolse alle sorelle pochi giorni prima di morire, ricevuta l’eucaristia e la visita di papa Innocenzo IV (LegsC 27: FF 3243). Anche in ciò i nostri due santi furono… “pasquali”!
(Alfabeti improbabili. A zonzo tra Bibbia e Fonti Francescane/36)
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