E come… elemosina!
Quando leggiamo nella Bibbia che l’elemosina è uno dei pilastri della vita di fede che Dio chiede al suo devoto («l’elemosina libera dalla morte», Tb 4,10; «chi ha pietà del povero fa un prestito al Signore», Pr 19,17; «chi pratica l’elemosina fa sacrifici di lode», Sir 35,4; «le tue preghiere e le tue elemosine sono salite dinanzi a Dio ed egli si è ricordato di te», At 10,4; ecc.), generosità e solidarietà che è condivisa, e raccomandata, in tutte le religioni, tra cui l’islam; e poi pensiamo a cosa l’elemosina è diventata, di fatto, tra di noi, a metà tra il tentativo di mettersi a posto la coscienza e cavarsela a buon mercato, dando solo le briciole del nostro superfluo, magari pure brontolando e pontificando su queste persone che non vogliono guadagnarsi il pane lavorando, be’, ci domandiamo perché mai fosse invece così importante agli occhi di Dio. Il profeta Isaia, tra l’altro in un brano che la liturgia ci fa ascoltare ogni volta all’inizio della Quaresima, mette in bocca a Dio la domanda: «chi richiede a voi questo?», riferendosi agli atti cultuali e ai riti religiosi digiuno compreso, e chiarisce una volta per tutte che la volontà di Dio è in un’altra direzione: «imparate a fare il bene, / cercate la giustizia, / soccorrete l’oppresso, / rendete giustizia all’orfano, / difendete la causa della vedova» (Is 1,12.17). E quindi nella direzione della carità che, attenzione!, corrisponde alla giustizia. Mentre noi l’abbiamo ridotta a un pio sentimento di buonismo. L’elemosina non si pesa in quantità, ma in qualità. Tant’è che Gesù loda la povera vedova che ha messo con generosità nella cassetta del tempio tutto il poco che aveva (Lc 21,1-5)!
Francesco, Chiara e i loro compagni, poveri di tutto, ribaltano il discorso. E prima ancora di impegnarsi a fare l’elemosina agli altri, riducono essi stessi al rango di poveri bisognosi di elemosina: «Non vergognatevi, perché dopo il peccato viene concesso tutto in elemosina e quel grande Elemosiniere dona largamente e con bontà a tutti, degni e indegni» (2Cel 77: FF 665). È la povertà come atto di fede, radicale ed estremo, nella bontà di Dio! In questo senso diventa segno e autenticità, il vivere di elemosine, della propria vita di fede. Segno ricercato quasi ossessivamente, e di cui si può pure gioire: «Gli avanzi delle elemosine e i tozzi di pane che gli elemosinieri riportavano, li accettava con grande piacere», si racconta di Chiara (LegsC 9: FF 3188). Ma la cui vergogna bisognerà pure umanamente superare (1Cel 13: FF 599).
Poi i frati vennero impropriamente annoverati tra gli ordini cosiddetti “mendicanti”, ma Francesco era stato chiaro: «E i frati che sanno lavorare, lavorino […]. E quando sarà necessario, vadano per l’elemosina come gli altri frati» (ma in altri manoscritti si legge: «come gli altri poveri»; Rnb 7,3.8: FF 24). Nella consapevolezza che quando incontrassimo uno più povero di noi, per giustizia, e per non essere considerati ladri («Non sono mai stato ladro», CAss 15: FF 1561), gli si dovrà restituire anche il mantello. Che avevamo solo in prestito (2Cel 87: FF 674).
(Alfabeti improbabili. A zonzo tra Bibbia e Fonti Francescane/21)
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