26 aprile 2015, quarta domenica di Pasqua, “Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario -che non è pastore e al quale le pecore non appartengono- vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore” (Gv 10,11-13)
Ad ogni quarta di Pasqua, puntiamo il nostro sguardo sul buon pastore. Ad essere precisi il testo originale, il greco, scrive bel pastore. I due aggettivi non configgono più di tanto: quando diciamo che una persona è bella, non ci riferiamo tanto e solo a canoni estetici, ma al fatto che per davvero quella persona per noi è buona, vera. Bella!
Gesù è bello e buono perché offre quanto di più prezioso ha: la vita, la sua vita. Non si trattiene. E non solo quando le cose vanno bene, ma anche quando noi, -suo gregge, sue pecore-, siamo aggrediti o ci perdiamo, il pastore diventa ‘guerriero’ perché per lui ognuno di noi è prezioso e unico (“conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me”). Ciascuno di noi, uno a uno. Anche quanti, uomini-donne come noi, nostri fratelli e sorelle, nel canale di Sicilia hanno ricevuto la morte da mercenari, ai quali nulla importava di loro (com’è tremendamente vero il Vangelo!). Offrire la vita è il modo di amare e lottare che Gesù ci consegna per fare come lui. Ancora una volta: amati da lui, diveniamo capaci di amare gli altri (che ci “importano”).
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