La povertà di Dio
Dopo aver ricordato l’abbraccio con il lebbroso e come questo avesse determinato la propria conversione nei gusti e nella vita, Francesco passa a raccontare come Dio gli abbia messo nel cuore una fede profonda per la chiesa. Diversi sono gli elementi che nomina di questa fede, ma il primo è proprio il luogo fisico delle chiese, nelle quali entrava e pregava, adorando e benedicendo il Signore Gesù perché con la sua croce aveva salvato il mondo.
Francesco, proprio come davanti al lebbroso, sembra attratto da questa dimensione piccola e povera della fede cristiana: il Dio che adoriamo e benediciamo è un Dio povero, consegnato per amore, senza alcuna pretesa di potere o riconoscimento. Questo Dio sceglie di salvare il mondo nello scandalo e nel nascondimento della croce: condivide la condizione dei piccoli, degli abbandonati, dei disperati, dei morenti. Condivide cioè la condizione di ogni uomo, che per quanto pensi di essere forte e ricco, in realtà non è padrone di un solo giorno della sua vita o di un solo capello del proprio capo. Dio, il Signore onnipotente creatore di tutto, è povero ed umile e salva il mondo sulla croce.
Francesco ha riconosciuto Dio nel lebbroso perché ha compreso che Dio è il misericordioso, che sa stare vicino ai piccoli. Ancora di più, Dio stesso è umile e povero, offre se stesso attendendo dagli uomini la loro risposta libera e ama con intensità e desiderio, come chi non può vivere senza l’altro. Il Signore di tutto si fa mendicante di fronte a quelli che ama. Umiltà, povertà e minorità appartengono allo stile di Dio, alla sua profonda identità.
Questo stile povero e umile proprio di Dio è lo stile che frate Francesco piccolino sceglie per sé e per i suoi. E non può trovare luogo migliore per vivere tale stile che la chiesa, realtà estremamente umile e povera, eppure proprio per questo abitata dal Dio che non disdegna la croce, l’umiliazione, il nascondimento. Proprio nella fragile e dimessa realtà ecclesiale del suo tempo, Francesco scopre la presenza santificante ed efficace di Dio, che per se stesso non sceglie altra via che l’umiltà. I gusti di Francesco sono cambiati: non ama più i sogni di gloria dei cavalieri e dei potenti, ma le realtà piccole e fragili in cui il Signore crocifisso può essere riconosciuto e toccato. La chiesa diventa così per lui il luogo privilegiato per incontrare e adorare il Signore misericordioso. Mai lo afferra la tentazione del giudizio o del disprezzo, contempla invece l’umiltà di Dio che si consegna alla nostra fragilità: adora e si mette a servire.
(Il Testamento di san Francesco/4)
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