IV DOMENICA DI QUARESIMA – B
In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».
Riflessione biblica Questa pagina giovannea è una della più belle rivelazioni evangeliche sull’amore di Dio. Dio ci ama, forse lo sappiamo, forse lo speriamo: ma qual è il livello, la qualità di questo amore? Fino a che punto ci ama? Egli ci consegna suo Figlio: è questo il limite, l’orizzonte del suo amore. Questa consegna è l’atto più evidente del suo desiderio di comunione con noi, che rischiamo di perderci nel nulla. L’amore del Padre, quindi, è di fatto rischio assoluto (rischia suo Figlio!) per attirarci a sé. Tale atto divino di consegna del Figlio non è da intendere come mancato coinvolgimento nelle nostre tenebre (manda Gesù e Lui ne resta fuori), ma all’opposto dimostra la sua totale immersione nella Storia, per avvilupparci nella stessa trama dell’amore fra il Padre e il Figlio. Il limite del suo amore è la sua identità stessa: «Dio è amore» (1Gv 4,8), ci ricorda lo stesso autore del vangelo di oggi nella sua Prima lettera. Non ci resta che credere stupefatti ed entrare nella luce!
Riflessione francescana Nel Libro di Angela da Foligno, la santa descrive così una sua estasi: «Quando mi trovo in quella tenebra, non mi ricordo di qualche aspetto della natura umana o del Diouomo o di qualcosa che abbia una forma. Allora vedo tutto e tuttavia non vedo nulla. Allontanandomi da quello che ho detto, vedo il Dio-uomo, che attira l’anima con tanta mansuetudine che talvolta dice: “Tu sei me e io sono te”. Nei suoi occhi e sulla sua faccia tanto piacevole scopro una grande benevolenza che mi abbraccia. Quello che risulta dagli occhi e dal viso è ciò che ho detto di vedere nella tenebra e che viene dall’interno, ed è ciò che mi diletta tanto e non può essere narrato» (Settimo passus supplens).
Lascia un commento
Devi eseguire il login per commentare.