Il digiuno che voglio
Venerdì dopo le Ceneri
Is 58,1-9 Sal 50 Mt 9,14-15
Digiunare vuol dire accettare la fatica della fame per nutrirsi dell’essenziale e attaccarvi il cuore. Siamo risvegliati dal rischio di adagiarci comodamente sui nostri bisogni e voglie. Siamo spinti ad essere più forti e decisi, alimentando la vita di cose davvero buone, lasciandoci plasmare dalla Parola. Tutto questo nella strada generosa della condivisione. Il profeta Geremia ci fa un elenco molto concreto di queste cose buone. All’apice di tutto ciò, però, c’è il Signore che desidera essere nostro sposo, Colui che dona il balsamo dell’amore e la gioia della consolazione. “Ci fa bene”, ricorda papa Francesco “liberarci da tante realtà superflue per riscoprire quel che conta, ritrovando i volti di chi ci è accanto”. La carità vera non fa clamore, i gesti più grandi sono quelli segreti, che raggiungono davvero chi ha bisogno di pane, di compagnia, di accoglienza. A volte ci illudiamo di “risolvere” i problemi degli altri in modo efficiente. In realtà il primo frutto di questa gratuità silenziosa è, sempre e prodigiosamente, la guarigione del nostro stesso cuore: la tua ferita si rimarginerà presto.
Signore, le nostre rinunce servano per nutrici, per compiere opere buone e per lasciarci ispirare pensieri degni della Tua presenza in noi.
Dalla Leggenda di Santa Chiara [FF 3196]
E mentre avviene di solito che un’aspra macerazione fisica produce per conseguenza depressione di spirito, ben diverso era l’effetto che splendeva in Chiara: in ogni sua mortificazione manteneva infatti un aspetto gioioso e sereno, così che sembrava non avvertire o ridere delle angustie del corpo. Da ciò si può chiaramente intuire che traboccava all’esterno la santa letizia di cui abbondava il suo intimo: perché ai flagelli del corpo toglie ogni asprezza l’amore del cuore.
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