L’avarizia
L’avarizia non è da confondersi con l’avidità: mentre l’avido è colui che desidera accrescere il proprio “possesso” (nel senso più generale possibile del termine) l’avaro è concentrato nella conservazione meticolosa di ciò che già ha. La ragione che fa dell’avarizia un “vizio” non è tanto mostrare una cura speciale per il denaro e le cose in genere, ma che esse vengono a rivestire un valore simbolico spropositato. Proviamo a tracciare un quadro di come appare l’avarizia (fenomenologia). L’avaro a ben vedere non è tanto attratto dalle cose, ma dalla possibilità cha ha di farne uso, le ha ma si trattiene dall’usarle, qui si dimostra la perversione del vizio; in questo senso si trova agli antipodi rispetto al goloso. Una persona che, ad esempio, ama il buon vino, decide di comprarsi una bottiglia, se ne versa un bicchiere, ne guarda il colore, sente il sapore e se lo gusta; l’avaro invece compra certamente la bottiglia, ma si limita a contemplarne l’etichetta, e da essa ne trae un piacere che non ha fine…
Esaminare il meccanismo dell’avarizia è estremamente istruttivo perché ne mostra insieme anche i pesanti “costi” che questa comporta. L’avaro vorrebbe possedere tutto, ma in tal modo smarrisce beni preziosi per la sua vita, diventando sempre più gretto, solo ed infelice, mostrando che è vero il proverbio che dice: chi confida nelle cose diventa come loro. L’avarizia si manifesta in modi molteplici. Il concorrente assassino, l’ammalato di lavoro, il truffatore e il giocatore d’azzardo sono tutti avari. Il paradosso dell’avarizia è che sebbene miri ad aumentare il piacere con l’acquisto dei beni e servizi, essa spesso lo fa alle spese del piacere e della felicità. Non è il bisogno a muovere l’avaro ma il potere: spera che con l’accumulo potrà disporre come vuole della propria vita, scacciando l’ansia dell’insicurezza e della dipendenza dagli altri, mettendosi al riparo dai capricci della fortuna, dalle possibili calamità stagionali e in ultima analisi anche da Dio!
Trattandosi di una risposta concreta e tangibile al desiderio di felicità, l’avarizia è estremamente difficile da estirpare perché penetra con soavità nel cuore umano.
L’avarizia quindi non consiste nel fatto di avere molti beni e di per sé non è nemmeno sinonimo di ricchezza; è piuttosto la brama e l’avidità di possesso che indurisce il cuore e porta alla presunzione di autosufficienza, di bastare a se stessi e di non aver bisogno di nulla.
L’avarizia ha in sé un aspetto religioso: il denaro fornisce l’illusione di essere onnipotenti, e le ricchezze sostituiscono la funzione di tutela che di solito ha Dio. Il denaro è come un idolo che consente l’autosufficienza che nessun altro potrebbe garantire. L’avarizia, poiché non riguarda un bisogno del corpo né tende ad un piacere ad esso proprio, ricerca una soddisfazione di tipo affettivo ma insieme impalpabile, “virtuale”. Questo carattere spirituale dell’avarizia è ben mostrato dal suo oggetto basilare, il denaro; il denaro ha in sé una componente essenzialmente simbolica, di rimando ad altro: è un semplice pezzo di carta ma consente l’accesso ad altre cose fornendo in tal modo onori e considerazioni. Il denaro sembra in grado di aprire ogni porta, di trasformare ogni difetto. Inoltre la caratteristica spirituale dell’avarizia si nota nel fatto che essa è una botte senza fondo: non dice mai basta, non può riconoscere di avere finalmente raggiunto ciò che con tanto affetto e ingordigia desiderava! La bulimia dell’anima è l’avarizia!
Vediamo ora quali conseguenze ha l’avarizia.
La prima conseguenza di questo è smarrire il senso del gratuito e dunque il senso dell’esistere.
La seconda è lo sfuggire il senso della contingenza di ciò che ha l’avaro: quello che uno accumula non è veramente suo. Prima o poi si dovrà lasciare tutto. Siamo solo amministratori e non possessori.
La terza è la costante tristezza di non trovare quello che si cerca: la brama non sarà mai saziata! Questo vizio ha in sé una venatura masochista: quello che si pensa essere l’unica fonte di felicità rende in realtà angosciati! Si cade in una sorte di rete di Penelope: tra l’accumulo compulsivo e la distruzione della propria vita! La ricchezza diventa come un grande marasma indifferenziato (la casa dell’avaro è come un museo: è un collezionista che ha solo per il gusto di possedere senza alcun criterio!)
L’avaro invece è un buco nero che assorbe e distrugge ogni cosa. L’avarizia è in realtà una povertà enorme perché è grettezza d’animo.
In sintesi l’avaro è un uomo solo. Con l’economia nel sangue tutto ha un prezzo o è uno scambio. Questo gli fa perdere il segno più grande della gratuità: l’amore. L’amore, il senso della vita per ogni uomo, è precluso per l’avaro che si trova solo e prigioniero delle sue cose!
Questo è sintetizzato da un detto rabbinico: «La Terra Santa è segnata da due laghi. Il lago di Tiberiade riceve e dona acqua verso il Giordano. Il secondo invece riceve e accumula e nulla dà, ed è chiamato il Mar Morto».
Il dramma dell’avaro è nel momento della morte in cui si svela che non ha nulla per sé da portare via: la morte è per l’avaro il confronto con la realtà.
Scheda
Dalla Sacra Scrittura: Fil 4,11-13; Eb 13,5; Sal 49,13s; Pr 11,28; Sir 5,1; Am 6,1; Mt 13,22; 19,24ss; Ef 4,28; Lc 16,9-13; Ap 3,15-20; Eb 11,24-26; 1Tm 6,17; Lc 6,24; 1,37; 2Cor 6.3-10; 12,9-10; Col 1,29; Ger 9,22s
Dalle Fonti Francescane: FF 163; FF 2065-2067; FF 672
Dai cantautori: Quasi 40, Tiromancino
(I vizi capitali/4)
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