D come… dolcetti!
Come ci si potrebbe aspettare, di dolci tra le pagine della Bibbia e delle Fonti Francescane effettivamente ce n’è ben poca traccia: troppi asceti e penitenti, fatiche e dolori, colpe e pene, tipi barbuti e magari pure vestiti di pelli di cammello, per esserci spazio per torte margherita o bignè… Ah, ecco, a proposito dello scontroso personaggio di cui prima, sappiamo però che si cibava di «miele selvatico» (Mt 3,4). Su questo la Bibbia non ha nessun dubbio: se le serve un paragone, immediato e comprensibile al volo da tutti, per dire di quanto è desiderabile una cosa, di quanto sia buona in tutti i sensi, ricorre immancabilmente al miele: «che c’è di più dolce del miele?» (Gdc 14,18). E pare, a detta degli intenditori, che quello del deserto fosse ancora più dolce al palato.
Scopriamo così che persino la Parola di Dio è faccenda da leccarsi i baffi, da golosi impenitenti: «Mi disse: “Figlio dell’uomo, mangia ciò che ti sta davanti, mangia questo rotolo, poi va’ e parla alla casa d’Israele”. Io aprii la bocca ed egli mi fece mangiare quel rotolo, dicendomi: “Figlio dell’uomo, nutri il tuo ventre e riempi le tue viscere con questo rotolo che ti porgo”. Io lo mangiai: fu per la mia bocca dolce come il miele» (Ez 3,1-3)! Roba da farsi trovare con le dita sporche, non di marmellata ma di… Parola di Dio: «nulla è più dolce dell’osservare i suoi comandamenti», di Dio s’intende (Sir 23,27). Anche se rimane vero che il pericolo di indigestione è lì in agguato, con tanto di mal di pancia, o il dubbio che tanta dolcezza nasconda da qualche parte una fregatura: «Allora mi avvicinai all’angelo e lo pregai di darmi il piccolo libro. Ed egli mi disse: “Prendilo e divoralo; ti riempirà di amarezza le viscere, ma in bocca ti sarà dolce come il miele”. Presi quel piccolo libro dalla mano dell’angelo e lo divorai; in bocca lo sentii dolce come il miele, ma come l’ebbi inghiottito ne sentii nelle viscere tutta l’amarezza» (Ap 10,9-10).
Il Celano nomina sant’Antonio di Padova, «al quale Iddio diede l’intelligenza delle sacre Scritture e il dono di predicare Cristo al mondo intero con parole più dolci del miele» (1Cel 48: FF 407). Ma è Francesco morente che ci riserva il colpo di scena finale a proposito di dolci. Quando, lasciando sbigottiti e forse anche un po’ preoccupati i suoi frati, che lo avrebbero preferito magari occupato in preghiere o simili, visto il momento solenne, chiese che si andasse a chiamare la nobildonna romana Jacopa dei Settesoli. Affinché gli portasse, oltre ad altro, «quel dolce che era solita prepararmi quando soggiornavo a Roma». A scanso di equivoci chiarendo che «si tratta del dolce che i romani chiamano mostacciolo, ed è fatto con mandorle, zucchero o miele e altri ingredienti» (CAss 8: FF 1548). Davvero un modo strano di morire da santi! O forse no, perché san Francesco lo aveva scritto nel suo Testamento: «quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi, e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da loro, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di animo e di corpo» (Test 1-3: FF 110)!
(Alfabeti improbabili. A zonzo tra Bibbia e Fonti Francescane/22)
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