Santa obbedienza
Giovedì XXI Settimana del Tempo Ordinario
1Ts 3,7-13 Sal 89 Mt 24,42-51
Perché il servo fidato e fedele sente nel proprio cuore di poter prendere decisioni a proprio piacimento e trattare male i compagni? Questo servo, che aveva fiducia dal suo padrone, non obbedisce e diventa servo malvagio. Perché Gesù sceglie dei servi così? E perché questi servi fidati divengono malvagi in assenza del padrone? Forse perché non riescono a reggere proprio all’assenza del padrone. Anche il popolo ebreo nel deserto non ha retto al silenzio di Dio rappresentato dall’assenza di Mosè che stava ricevendo le tavole della Legge. Così si sono costruiti un idolo d’oro. Sentirsi soli, sentirsi orfani sembra essere un motivo per usare male della propria responsabilità. L’assenza genera fatiche, fa sentire il vuoto. Il Signore, però, desidera per noi che diventiamo capaci di stare nel vuoto, di stare nel silenzio. È proprio questo atteggiamento che ci rende capaci di crescere e stare in modo maturo con gli altri. Per imparare ed essere fedeli è necessario fare continuamente memoria e restare in relazione con Colui che ci affida il suo Regno. Il Signore ci vuole svezzare per essere capaci di arricchirci dei suoi svariati doni e cercarlo in maniera nuova.
“Il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore fra voi e verso tutti” (1Ts 3, 12)
Dalla Vita seconda di Tommaso da Celano [FF 735]
Desiderando questo mercante astutissimo guadagnare in più modi e ridurre a merito tutta la vita terrena, volle essere guidato dalle redini dell’obbedienza e sottomettersi al governo altrui. E così non solo rinunciò all’ufficio di generale, ma per una obbedienza più perfetta, chiese un guardiano personale da considerare suo speciale superiore. Disse infatti a frate Pietro di Cattanio, al quale aveva già promesso santa obbedienza: «Ti prego, per amore di Dio, di incaricare uno dei miei compagni a fare le tue veci a mio riguardo, in modo che gli obbedisca devotamente come a te. Conosco il frutto dell’obbedienza e so che non passa un momento di tempo senza frutto colui che ha sottomesso il proprio collo al giogo di un altro».
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