Deboli o forti?
Sabato XI Settimana del Tempo Ordinario
2Cor 12,1-10 Sal 33 Mt 6,24-34
La ricchezza di un uomo gli dà sicurezza, lo fa sentire sicuro, potente. Ma questo finisce per renderlo schiavo della sua ricchezza.
Come san Paolo ci testimonia, la ricchezza più grande che abbiamo, a volte, è proprio quella spina nella carne che ci fa tanto soffrire. E come mai una cosa così spiacevole è una ricchezza? Lo è nella misura in cui ci tiene legati al Signore e ci fa sentire la necessità del suo aiuto. Di perdono, se siamo nel peccato. Di forza, se ci sentiamo deboli e stanchi. Di luce, se il cuore è nel buio. Ecco perché accogliere la nostra debolezza è una grazia. Perché ci lega indissolubilmente all’amore di Dio, facendocene sentire il bisogno profondo e vitale. Quando, infatti, guardiamo a noi stessi nella verità, riconosciamo con più chiarezza che tutto è dono. E impariamo a ringraziare.
Quando siamo deboli allora siamo forti perché sperimentiamo che Tu, Signore, sei la vita di cui abbiamo bisogno.
Dal Trattato dei miracoli [FF 823]
Questa Religione [“forma di vita”, ndr] infatti non si sostiene con cantine ricolme, dispense abbondantemente fornite, amplissimi poderi, ma dalla stessa povertà per la quale si rende degna del cielo, viene meravigliosamente alimentata nel mondo. O debolezza di Dio, più forte dell’umana fortezza, che porta gloria alla nostra croce e somministra abbondanza alla povertà!
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