«Tu sei il Figlio mio diletto…», «Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!»
In quel tempo, Giovanni proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo». Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nàzaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E, subito, uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. E venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento». (Mc 1,7-11)
Festa del Battesimo del Signore – Questa festa, collocata nella seconda domenica dopo il Natale, chiude il tempo liturgico dell’Avvento/Natale per introdurre il “tempo ordinario”. E’ considerata da sempre nella liturgia una “seconda epifania” o manifestazione di Cristo. Commenta a tal proposito il santo frate minore Antonio di Padova nel sermone per la solennità dell’Epifania:
«Questa festa si chiama Epifania, dai termini greci epì, sopra, e fanè, manifestazione, perché come oggi Cristo fu manifestato con il segno della stella.
È detta anche Teofania, sempre dai termini greci Theòs, Dio, e fanè, perché come oggi Cristo, passati trent’anni, fu manifestato dalla voce del Padre, e battezzato nel Giordano.
È detta anche Bethfania, dal termine ebraico beth, casa, perché, passato un anno dal battesimo, come oggi compì un miracolo divino tra le mura di una casa, ad una festa di nozze».
E’ interessante considerare quindi questo evento del Battesimo di Gesù a confine tra: l’accoglienza di un Dio che si è fatto uomo (Natale) e riconosciuto dalle genti (pastori prima, Magi poi nella “prima Epifania”) e l’inizio della missione di Gesù Cristo (tempo liturgico ordinario) orientata alla sua Pasqua nella quale vince per sempre la morte.
La pagina del battesimo di Gesù apre solennemente il vangelo secondo Marco, nel quale manca il racconto della nascita. Gesù si mette in fila con i peccatori per ricevere un battesimo di conversione e di penitenza: ecco la descrizione più incisiva dell’incarnazione e dell’umiliazione di Dio (che quindi in sostanza “sostituisce” i racconti della nascita). Nell’eccesso del suo amore, il Signore si fa solidale con noi uomini fino a raggiungerci nella lontananza del peccato.
La prima parte della scena del battesimo offre spazio alla descrizione di Giovanni Battista, ultimo profeta posto tra Antico e Nuovo Patto. Giovanni parla di «colui che viene» (il Messia), del «più forte» al quale egli è totalmente proteso (cf. v. 7). Tutto il vangelo secondo Marco vuole rispondere alla domanda circa l’identità di questo personaggio annunciato dal Battista: «Chi è costui?». Ed ecco che nel momento in cui Gesù si immerge nelle acque del Giordano rendendosi solidale con quanti accorrono al battesimo di conversione, il Padre fa udire la sua voce al Figlio: «Tu sei il Figlio mio diletto, in te mi sono compiaciuto» (v. 11). Gesù, il più forte, è colui che viene nella debolezza e si rende prossimo a quanti, immersi nelle acque di morte, anelano a nuova vita. Dio e l’uomo in lui si svelano: Dio scende nell’umiltà della nostra carne, i cieli si squarciano, lo Spirito scende e si apre per ogni uomo la possibilità di una nuova esistenza: la vita filiale.
«Questa scena un po’ misteriosa si chiarirà un po’ alla volta con lo svolgimento della missione di Gesù: come ora si è immerso nelle acque del battesimo insieme a tutti i peccatori, così in tutta la sua missione andrà a cercare i peccatori, parlerà con loro, mangerà insieme a loro, si lascerà toccare da loro, farà amicizia con loro e alla fine morirà tra due malfattori. Il suo essere Figlio di Dio non si manifesta con il distacco, separandosi dai peccatori (come cercavano di fare i farisei) ma andandoli a cercare, come un medico che cerca di soccorrere i malati, come un pastore che cerca di radunare le pecore disperse. Come i medici e gli infermieri che in questi mesi si sono ammalati di Covid e sono morti, Gesù morirà travolto da quel peccato che è venuto a curare, ma proprio con la sua morte darà inizio a un contagio positivo, comincerà a guarire gli occhi, il cuore e le mani di tutta l’umanità che smetterà di aver paura di Dio e inizierà così a vivere una vita diversa. La Chiesa proclama: “Dalle sue piaghe siamo stati guariti” (Is 53,5); “il suo sangue è il farmaco dell’immortalità” (Sant’Ignazio di Antiochia, Lettera agli Efesini, cap. 20, 2)» (don Giorgio Ronzoni).
La teofania descritta in modo così semplice e scarno da Marco, e riferita come “audizione privata” per Gesù di Nazaret, si compie poi nella narrazione marciana con quanto dice – nel momento della morte di Cristo – il centurione, il suo carnefice, il primo pagano convertito che riconoscerà: «Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!» (15,39).
«Le icone bizantine mostrano Gesù immerso nelle acque del fiume Giordano che hanno un colore scuro, nero: simboleggiano la morte nella quale egli si immergerà per donarci la vita. Il suo battesimo annuncia già la sua morte e risurrezione, perché mescolandosi ai peccatori Gesù si è fatto nostro fratello, condividendo la nostra vita e la nostra morte. Perciò, è con il battesimo che noi diventiamo fratelli di Gesù e figli di Dio, unendoci alla sua morte e risurrezione» (don Giorgio Ronzoni).
San Francesco d’Assisi chioserebbe la meditazione evocando la presenza dello Spirito che dimora in noi dal battesimo e il tema della fraternità acquisita in Cristo:
«E tutti quelli e quelle, che continueranno a fare tali cose e persevereranno in esse sino alla fine, riposerà su di essi lo Spirito del Signore, ed egli porrà in loro la sua abitazione e dimora.
E saranno figli del Padre celeste, di cui fanno le opere, e sono sposi, fratelli e madri del Signore nostro Gesù Cristo.
Siamo sposi, quando nello Spirito Santo l’anima fedele si unisce a Gesù Cristo.
Siamo suoi fratelli, quando facciamo la volontà del Padre suo, che è nel cielo.
Siamo madri, quando lo portiamo nel nostro cuore e nel nostro corpo attraverso l’amore e la pura e sincera coscienza, e lo generiamo attraverso il santo operare, che deve risplendere in esempio per gli altri.
Oh, come è glorioso e santo e grande avere nei cieli un Padre!» (Lettera ai fedeli, II, X : FF 200)
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