O come… orto!
L’orto dei frati è assurto nel tempo, almeno nell’immaginario popolare, a vero e proprio “luogo mitico”. Vi ci si troverebbe la miglior verdura della zona, in virtù di non si sa quali competenze più o meno magiche del frate ortolano. O, almeno, si riconosce a costui l’invidiabile capacità di “sintonizzarsi” sia con la madre terra e i suoi ritmi, sia con il tempo atmosferico. Dall’orto, inoltre, i frati ricaverebbero erbette, fiori, radici e bacche, che opportunamente e sapientemente trattate, darebbero i famosi elisir. Ma anche creme, tisane, liquori digestivi, gocce toccasana per ogni genere di malanni. E tanti altri prodotti “naturali”, forti del brand “francescano”. Ciò non è del tutto falso o esagerato. Secoli di vita conventuale, ma lo stesso vale per le abbazie benedettine, hanno effettivamente accumulato un sapere “orto-frutticolo” di tutto rispetto: risorse limitate, necessità di confrontarsi con situazioni, quanto a clima, terreno, scarsità o meno di acqua (ma anche la fame dei fraticelli!), che hanno aguzzato l’ingegno. Mettiamoci anche un rapporto evangelicamente intenso e grato con la creazione. E mettiamoci anche, di questi giorni, il nostro bisogno di “tornare alla terra”, e il gioco è fatto.
Effettivamente Francesco aveva un approccio che oggi chiameremmo di “sistema ecologico” alla creazione. Al frate ortolano chiede infatti che «lasci incolti i confini attorno all’orto, affinché a suo tempo il verde delle erbe e lo splendore dei fiori cantino quanto è bello il Padre di tutto il creato. Vuole pure che nell’orto un’aiuola sia riservata alle erbe odorose e che producono fiori, perché richiamino a chi li osserva il ricordo della soavità eterna» (2Cel 165: FF 750). Altro episodio che gode di una certa fama è quello dei cavoli fatti piantare a testa in giù da Francesco a due giovani postulanti, nell’orto di Montecasale. Dei quali uno fece come questi aveva suggerito, e fu accolto all’Ordine, l’altro no (Bartholomaeo de Pisa, De conformitate vitae beati Francisci ad vitam Domini Iesu, fructus XI, pars secunda, in «Analecta Franciscana», Ad Claras Aquas 1906, V, p. 141). Forse perché talvolta bisogna credere all’incredibile? Essere noi stessi “orti” o “ortolani incredibili”? Come Ortolana, la mamma di santa Chiara, che papa Alessandro VI, nella bolla di canonizzazione di Chiara, descrive come colei che «aveva generato tale pianta nel campo del Signore» (BolsC 10: FF 3292).
Perché nell’ “orto degli ulivi”, come viene chiamato il più esatto monte degli Ulivi, ci si gioca con Gesù la nostra vita. Nell’obbedienza filiale al Padre e ai suoi progetti, a costo di “sudare sangue” ma di non mollare, di avere dubbi o ritenere di avere un’idea migliore della sua, ma di riaffidarsi alla sua volontà. Talvolta di addormentarsi anche sul più bello (Lc 22,39-46). Talvolta, persino!, di tradire con un bacio il nostro miglior amico (Lc 22,48), o di far fuori qualcuno per trasformare la sua vigna in un nostro orto (1Re 21,2).
(Alfabeti improbabili. A zonzo tra Bibbia e Fonti Francescane/5)
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