rallegratevi con me
In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.
Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte». (Lc 15,1-10 – forma breve di vv. 1-32)
Domenica XXIV del Tempo ordinario – anno C – La ricchezza della pagina evangelica proposta in questa domenica centra il tema della gioia per ciò che era perduto e viene ritrovato, visto in tutte le dimensioni delle tre parabole descritte (la pecora perduta, la moneta perduta, il figlio perduto). Sulla parabola del Padre misericordioso (o del “figliuol prodigo”) Bibbia Francescana si è già soffermata diverse volte (“relazioni svelate e sanate“; “P come… padre!“; “Domenica 11 settembre 2016, XXIVª TEMPO ORDINARIO“; “Domenica 6 marzo 2016, IVª DI QUARESIMA“).
Come suo solito, il terzo evangelista presenta personaggi e scene parallelamente al maschile e al femminile offrendo un’immagine completa del volto di Dio, caratterizzato da indefettibile amore paterno e da infinita, materna tenerezza. In questi brani è presente la fragilità umana, facile a smarrirsi e a perdersi, ma prevale il recupero, il ritorno, la vita rinnovata grazie alla paziente ricerca e attesa da parte di Dio. E c’è festa per tutti, contagiosa e coinvolgente: come non prendervi parte? “Rallegratevi con me…!” è il sasso lanciato nello stagno dell’angoscia dopo che il bene cercato è stato ritrovato. Eppure qualcuno (ad es. “il figlio maggiore”) non vuole prenderne parte…!
Il capitolo 15 del vangelo di Luca è collocato nel cuore del viaggio verso Gerusalemme, dove Gesù offrirà la sua vita. È un cammino geografico e insieme un itinerario spirituale che egli intraprende ponendosi decisamente alla testa dei discepoli ai quali chiede di seguirlo incondizionatamente. In questo viaggio il maestro svolge un’ampia catechesi sui punti decisivi dell’esistenza cristiana, proponendo se stesso come esempio concreto con il quale confrontarsi.
La salita a Gerusalemme, ripetutamente sottolineata (cf. Lc 9,51; 10,38; 13,22.33; 17,11; 18,31.35; 19,28), offre dunque a Luca l’occasione e il contesto privilegiato per esporre ampiamente la dottrina di Gesù: in tutta la sezione (9,51-19,28) ci sono solo quattro racconti di miracoli, mentre prevalgono le istruzioni accompagnate da ben venti parabole. Nel cuore di questo itinerario si collocano le tre parabole della misericordia che rivelano l’«eccessiva» bontà di Dio verso chi ha sbagliato e si è perduto.
Per ben comprendere il vangelo odierno è necessario partire dall’inquadratura della scena nei vv. 1-3 e dai personaggi presenti in primo piano: da una parte «pubblicani» e «peccatori» che si avvicinano a Gesù per ascoltarlo, dall’altra i «farisei» e gli «scribi» che mormorano, giudicano e in qualche misura condannano Gesù (15,1-2). Le parabole presentano dunque anche un intento polemico nei confronti di questi ultimi, ma lo scopo primario è quello di mostrare a pubblicani e peccatori l’infinita misericordia di Dio, l’importanza della conversione per la salvezza, la gioia in cielo per un peccatore che si pente. Il Signore assume rispettivamente il volto di un «pastore» amorevole che si mette in cammino per recuperare la «pecora smarrita» (15,4-7), di una «donna» che ricerca attentamente una «dramma perduta» (15,8-10), soprattutto il volto d’amore di un padre che non si rassegna alla perdita del figlio (15,11-32). In tutte e tre le parabole la vicenda è a lieto fine: l’amore di Dio trionfa sulla debolezza delle creature, un peccatore che si converte fa esplodere la festa del cielo, alla quale sono invitati tutti i figli di Dio.
Fa pensare il parallelo tra l’azione del cercare (pecora, moneta) e quella apparentemente meno operativa dell’attendere (“il padre lo vide da lontano”, segno di chi è sempre pronto nell’attesa) carico di speranza e nostalgia, quasi che l’attesa sia tanto faticosa e partecipata di chi si affanna nel cercare, premessa indispensabile perché l’atteso sia poi accolto. Attesa: distillato di speranza, “sorella” di fede e carità.
Sant’Antonio di Padova, francescano della prima ora nella storia dell’Ordine, attinge a piene mani dalle immagini delle parabole. Tra i tanti esempi possibili:
«Della gioia “del parto spirituale” dice il Signore: “Grande gioia c’è nel cielo per un peccatore che fa penitenza” (Lc 15,7); e “Rallegratevi con me perché ho ritrovato la dramma che avevo perduta” (Lc 15,9); e Gabriele nel vangelo di Giovanni: “Molti si rallegreranno della sua nascita” (Lc 1,14). […] Infatti dice: Si deve banchettare e rallegrarsi perché questo mio figlio era morto ed è risuscitato, era perduto ed è stato ritrovato (cf. Lc 15,32)» (Sermoni, Domenica III dopo Pasqua, 15).
«Per essere in grado di ritrovare il volto del Signore, che abbiamo perduto, accendiamo la lucerna, buttiamo completamente all’aria la casa, finché lo troviamo (cf. Lc 15,8): ciò significa che dobbiamo quasi distruggerci per i nostri peccati, perlustrare ogni angolo della coscienza nella confessione e perseverare nelle opere di penitenza. E così finalmente potremo ritrovare il volto del Signore, perduto con il peccato, e cantare esultanti: “Risplende su di noi, Signore, la luce del tuo volto” (Sal 4,7)» (Sermoni, Domenica VI dopo Pasqua, 9).
«La sobrietà e la vigilanza sono necessarie perché il diavolo, nostro nemico, va in giro cercando la pecorella per divorarla. Resistiamogli con la fede che abbiamo ricevuto nel battesimo, custodiamo l’innocenza per meritare di giungere al gaudio degli angeli insieme con i veri penitenti. Ce lo conceda colui che strappò dalle fauci del lupo, del diavolo, le pecora smarrita, cioè Adamo con la sua discendenza, e la portò pieno di gioia, sulle sue spalle, appese alla croce, quando ritornò alla casa dell’eterna beatitudine. Per il suo ritrovamento fece anche grande festa con gli angeli: anch’essi esultano quando un peccatore si riconcilia con loro. Tutto questo deve infiammarci all’onestà, per far sempre ciò che agli angeli è gradito, ricercare la loro protezione e temere di offenderli. Ci conduca alla loro compagnia il Signore stesso, al quale è onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen0» (Sermoni, Domenica III dopo Pentecoste, 11).
«Preghiamo dunque, fratelli carissimi, il Signore Gesù Cristo che, sull’esempio della donna santa, cioè dell’anima penitente, ci conceda di preparare la lucerna, vale a dire di tener vivo il ricordo della nostra fragilità, con la stoppa della penitenza. Ci conceda di accendere l’olio della misericordia con la fiamma dell’amore divino, e di esplorare con essa ogni angolo della nostra coscienza e di cercare con ogni diligenza la dramma della duplice carità, che da tanto tempo abbiamo perduto. E dopo averla trovata meritiamo di giungere fino a lui, che è carità perfetta (cf. 1Gv 4, 8.16). Ce lo conceda egli stesso, al quale è onore e gloria, splendore e dominio per i secoli eterni. Ed ogni creatura risponda: Amen. Alleluia!» (Sermoni, Domenica III dopo Pentecoste, 15)
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