La Lettera quarta ad Agnese di Praga: Chiara e lo specchio
La quarta lettera ad Agnese è stata probabilmente scritta gli ultimi mesi del 1253, anno della morte di Chiara. Il corpo della lettera è costellato di riferimenti alle realtà ultime. Al v. 39, ad esempio, Chiara rimanda esplicitamente Agnese al «trono di gloria del grande Dio». Siamo dinanzi ad una sorta di testamento spirituale: Chiara sente prossima la sua morte, ossia l’avvicinarsi delle nozze mistiche e del suo incontro definitivo con lo Sposo. Non a caso, tra i suoi scritti, questo è quello che presenta il più alto numero di citazioni tratte dal Cantico dei Cantici. Tra questa lettera e la prima sono trascorsi circa vent’anni, a causa della «mancanza di messaggeri» e dei «ben noti pericoli delle strade» (4LAg 6: FF 2900), come Chiara tiene a precisare. In questo tempo, l’amicizia tra le due donne, così lontane eppure così vicine, si è andata rafforzando. Chiara sembra ormai aver lasciato cadere ogni forma di ritegno verso colei che definisce «metà della sua anima», «scrigno prezioso colmo di intimo amore» (v. 1), «la più cara tra tutte» (v. 34). Questo rivela l’intenso affetto di cui Chiara è capace verso le sue sorelle: purificata dalla sofferenza e dalla penitenza, ella è ora capace di amare nella stessa carità di Cristo: «Amava le Sore sue come se medesima» (Proc 4,18: FF 3016). Per questo può parlare di «incendio della carità» (v. 5) e far riferimento a un sentimento che lingua umana non può esprimere (cf. v. 35). L’amore verso le sue sorelle è alimentato dal suo sguardo di sposa sempre rivolto allo «specchio», che è Gesù stesso nella totalità del suo mistero di sofferenza e di gloria: «Guarda ogni giorno questo specchio […] e in esso scruta continuamente il tuo volto» (v. 15). È chiaro il riferimento implicito al passo di san Paolo: «E noi tutti a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasfigurati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore» (2Cor 3,18). Chiara vuole che anche Agnese viva la stessa esperienza che ella fa dello Sposo. La invita, per questo, a tenere tutte le facoltà, mente, anima e cuore, orientate stabilmente verso di Lui. Sì, perché è dalla contemplazione del mistero di Cristo, Verbo fatto uomo e umiliato sino a «morire della morte più vergognosa» (v. 23), che scaturisce la comunione con Lui. Gesù-specchio è una Persona vivente. Quanti scelgono di coltivare una relazione personale con Lui, ne sono toccati e gradualmente trasformati: felici davvero coloro che gustano «questo sacro connubio»: il suo affetto appassiona, la sua contemplazione ristora, la sua benignità sazia, la sua soavità ricolma, il suo ricordo risplende soavemente (cf. vv. 9-12). Mediante l’azione dello Spirito santo, Egli può vivere in noi e noi assumere le sue virtù, i suoi sentimenti, i suoi desideri. Apriamoci, dunque, all’opera della «grazia di Dio» (v. 18), lasciamoci «accendere sempre più fortemente da questo ardore di carità» (v. 27).
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