Mercoledì V Settimana di Quaresima
Dn 3,14-20.46-50.91-92.95 Dn 3,52-56 Gv 8,31-42
“L’angelo del Signore allontanò da loro la fiamma del fuoco della fornace e rese l’interno della fornace come se vi soffiasse dentro un vento pieno di rugiada. Così il fuoco non fece loro alcun male” (Dn 3,50)
Nel vangelo, il dialogo con i giudei si fa più aspro. Sono quei giudei che, in qualche modo, si erano avvicinati a Gesù, ma che ora ne rifiutano il messaggio. Non vogliono accettarlo come rivelazione del Padre, né come salvatore e liberatore degli uomini. Per i discendenti di Abramo, l’appartenenza al popolo eletto è la garanzia di uno stato di libertà già acquisito: “non siamo mai stati schiavi di nessuno!”. Gesù però parla di una libertà più profonda, più interiore, libertà dal peccato. Gesù, per chiarirci il senso di questa libertà, ci parla della differenza tra il figlio e lo schiavo. Uno rimane nella casa, l’altro no. Lui è il Figlio che rimane in comunione d’amore col Padre. Lo è anche ogni uomo che rimane nella parola del Figlio e si lascia liberare il cuore dal suo amore.
«Riconoscere il proprio peccato significa innanzitutto poterlo “confessare”, cioè, chiamarlo per nome e affidarlo a Dio. Nella confessione il servo di Dio compie un atto di allontanamento dal proprio peccato. Ponendolo davanti a sé e agli altri, lo consegna a Dio nella certezza di essere accolto e perdonato da colui che è la Verità e la Libertà. Confessare il proprio peccato per Francesco significa anche compiere “la soddisfazione con le opere”. Nasce, cioè, il desiderio di rimettere mano alle relazioni per “ripararle” dai danni commessi dal peccato. Non soffrire e scontare, ma ricreare la vita, prova sicura che la Vita è tornata ad animare il cuore e ad orientare la mente dando libertà ed efficacia all’azione». (P. Maranesi, “L’umiltà”)
Lascia un commento
Devi eseguire il login per commentare.