Sabato III Settimana di Quaresima
Os 6,1-6 Sal 50 Lc 18,9-14
“Facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato” (Lc 15,24)
Il profeta Osea sembra parlare della risurrezione quando dice: “Dopo due giorni ci ridarà la vita e il terzo ci farà rialzare” (Os 6,2). Ricevere e donare il perdono è un evento “pasquale”, un passaggio da morte a vita. Il pubblicano si batte il petto, si sente “morto” dentro e a Dio chiede perdono, chiede vita. Come il figlio prodigo che era morto ed è tornato in vita (15,24). Chi invece pensa di essere migliore degli altri, si crede vivo ma non lo è. Stando in piedi, un passo avanti ai fratelli, si arroga il diritto di giudicare, negando a Dio quello di perdonare e all’uomo quello di essere redento. Ci sono momenti in cui queste nostre oscurità del cuore emergono con più chiarezza, attimi in cui il “giudizio del Signore”, dice Osea, “sorge come luce” (6,5). Benedetta questa luce che ci permette di passare dalla morte alla vita nuova.
«Francesco è l’uomo della Pasqua, uomo pacificato, forgiato dalla sofferenza, bruciato dall’amore per Cristo. Ha sperimentato la croce, la debolezza, le tentazioni. Ma si è mantenuto fedele, perché fedele era stato Colui che per amore nostro si è consegnato alla morte. Per questo Francesco è capace di gioire della vita, perché ne ha compreso fino in fondo il valore: tutto passa, Dio solo resta. Anche per noi fare Pasqua vuol dire accogliere con serenità gli eventi della vita, nella consapevolezza che non sono la meta definitiva. Fare Pasqua è trasformare il dolore in amore, senza gelosie, senza supponenze, senza vendette, sapendo che, con la nostra povertà, Dio vuole realizzare grandi cose». (F. Accrocca, Francesco, un nome nuovo)
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