Quando la Parola “non rimane”
Giovedì IV Settimana di Quaresima
Es 32,7-14 Sal 105 Gv 5,31-47
Nel Vangelo di oggi Gesù, più che discolparsi, vuole stanare l’ipocrisia che lo sta condannando. Così usa il principio della giurisprudenza del tempo: la sua difesa, infatti, ha bisogno di essere convalidata da alcuni testimoni. Ecco perché parla del Battista, delle opere compiute, delle Scritture e del Padre stesso. Non per avere gloria, ma per dire qual è la sua vocazione: venire nel mondo per far conoscere l’Amore del Padre per ciascuno di noi. Tuttavia i giudei non ascoltano la verità: la Parola, dice Gesù, non rimane in loro. La conoscono, certo, ma non entra nelle profondità del cuore, non rimane, non cambia la vita. Questo può capitare anche a noi.
Gioisca il cuore di chi cerca il Signore. Cercate il Signore e la sua potenza, cercate sempre il suo volto. (Sal 104,3-4)
Dalla Leggenda minore di San Bonaventura [FF 1393]
Chiunque ha letto fino in fondo le pagine precedenti, rifletta su questa considerazione conclusiva: la conversione avvenuta in modo ammirabile, l’efficacia nel proclamare la parola di Dio, il privilegio delle virtù sublimi, lo spirito di profezia unito alla penetrazione delle Scritture, l’obbedienza da parte delle creature prive di ragione, l’impressione delle sacre stimmate e il celebre transito da questo mondo al cielo sono, in Francesco, sette luminose testimonianze che dimostrano e garantiscono a tutto il mondo che egli, preclaro araldo di Cristo, porta in se stesso il sigillo del Dio vivente, e perciò é degno di venerazione per la missione ricevuta, é autentico nella dottrina, é ammirevole nella santità.
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