Sicuro come l’aurora
Sabato III Settimana Tempo di Quaresima
Os 6,1-6 Sal 50 Lc 18,9-14
Con questa parabola Gesù vuole dirci una verità: la tendenza che abbiamo a compiacerci di noi stessi. La lode e la gratitudine verso Dio spesso cede il posto al compiacimento di ciò che siamo, facciamo, diciamo, pensiamo. Questa supponenza a volte si accompagna alla svalutazione degli altri, come fa il fariseo verso il pubblicano. Gesù ci mette in guardia dal pericolo di crederci migliori. Ecco perché l’invocazione del pubblicano diventa il modello di una preghiera autentica e gradita a Dio. Possiamo davvero fare della nostra fragilità l’occasione per avvicinarci al Signore: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Questa invocazione è la “preghiera del cuore”. Ripetuta spesso nelle nostre giornate, è la preghiera sempre ascoltata dal Padre. Ci fa conoscere sempre più il nostro cuore mutevole e soprattutto il Suo, grande e misericordioso: possiamo esserne sicuri. Dice infatti il profeta Osea: “se ci affrettiamo a conoscere il Signore, la sua venuta è sicura come l’aurora”.
Pietà di noi Signore, secondo la tua misericordia (cf. Sal 50,1).
Dalla Vita seconda di Tommaso da Celano [FF 686]
Quando ritornava dalle sue preghiere personali, durante le quali si trasformava quasi in un altro uomo, cercava di conformarsi quanto più poteva agli altri, per il timore che, se appariva con il volto raggiante, il venticello dell’ammirazione non gli togliesse il merito guadagnato. Anzi spesso ripeteva ai suoi intimi: «Quando il servo di Dio nella preghiera è visitato dal Signore con qualche nuova consolazione deve, prima di terminare, alzare gli occhi al cielo e dire al Signore a mani giunte: ‘‘Tu, o Signore, hai mandato dal cielo questa dolce consolazione a me indegno peccatore; io te la restituisco, affinché tu me la metta in serbo, perché io sono un ladro del tuo tesoro’’». E ancora: «Signore, toglimi il tuo bene in questo mondo, e conservamelo per il futuro». E continuava: «Così deve comportarsi in modo che, quando esce dalla preghiera, si mostri agli altri così poverello e peccatore, come se non avesse conseguito nessuna nuova grazia». E spiegava: «Per una mercede di poco valore capita di perdere un bene inestimabile e di provocare facilmente il nostro benefattore a non ridarlo più».
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