Io sono, niente da me stesso
Martedì V Settimana di Quaresima
Nm 21,4-9 Sal 101 Gv 8,21-30
La Parola di Dio, che oggi riceviamo dalla sua bontà, è forte, affascinante e drammatica assieme. I Giudei pensano che Gesù voglia togliersi la vita, mentre sarà lui stesso a donarla, subendo la morte di croce, proprio da coloro che forse avevano pensato al suo suicidio.
Solo in questo dono d’amore sapremo chi è Gesù. «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora saprete che Io Sono».
Io sono è l’appellativo di Dio, così si era rivelato a Mosè nella grande teofania sull’Oreb. Alle orecchie degli scribi e dei farisei questa affermazione di Cristo risuona come blasfema, e sarà di fatto uno dei capi d’accusa che muoveranno a Gesù nel processo, che sancirà la sua condanna a morte. Nessuno vuole comprendere che da quella morte sgorgherà la sorgente inesauribile della vita nuova.
Dio precede e suscita la nostra conversione, ma la sua presenza la possiamo accogliere solo se ammettiamo di avere sete, di essere ciechi, di essere tutti mendicanti di luce. Altrimenti, tremenda la Parola di Gesù, «morirete nei vostri peccati».
Ci conceda il Padre di avere lo sguardo di Gesù aperto al Padre, quel Padre che ci ama, ci custodisce e ci fa sperimentare la vita vera, perché, da noi stessi, nulla possiamo.
Dalla leggenda minore di San Bonaventura [FF 1333]
Siccome, a confronto dell’amore di Cristo, ormai gli riuscivano spregevoli tutti i beni della sua casa e li stimava come un nulla, sentiva di avere scoperto il tesoro nascosto e la splendente pietra preziosa. Attratto dal desiderio di possederli, decideva di staccarsi da tutte le cose sue e di scambiare, mercanteggiando secondo lo stile di Dio, gli affari del mondo con quelli del Vangelo.
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