Pretendere segni o diventare segni?
Mercoledì I Settimana Tempo di Quaresima
Gn 3,1-10 Sal 50 Lc 11,29-32
Gesù ci mette in guardia dall’arroganza di una generazione che pretende un segno. Sono quelli che, dubitando, pretendono segni grandiosi come condizioni per credere. Forse capita anche a noi di nasconderci dietro il pretesto di un segno che non vediamo, ed evitare così di assumerci le responsabilità di ciò che invece abbiamo già visto. Se infatti accogliamo davvero i segni della fede, siamo chiamati a diventarne noi stessi un segno significativo, annunciandone la bellezza e la verità. Come fa Giona per i niniviti.
Nel vangelo di Luca, dopo la nascita di Gesù, l’angelo del Signore annuncia ai pastori il segno di un bambino avvolto in fasce…” (cf. 2,12). La vera sapienza sta nell’accogliere la grandezza dell’amore di Dio nel segno della piccolezza e della ferialità. Accogliere il segno del Padre, vuol dire assumerne la responsabilità e diventarne – a nostra volta – segni trasparenti nel mondo. Il segno del Padre è proprio la vita del Figlio donata per amore. In Lui il Padre ci ha già detto e dato tutto. Tutto ciò che ci serve per credere.
“O Dio, che nel tuo Figlio fatto uomo ci hai detto tutto e ci hai dato tutto, poiché nel disegno della tua provvidenza tu hai bisogno anche degli uomini per rivelarti, e resti muto senza la nostra voce, rendici degni annunziatori e testimoni della parola che salva” (dalla Liturgia).
Dalla Leggenda dei tre compagni [FF 1427]
Un giorno Francesco, mentre ascoltava la Messa, udì le istruzioni date da Cristo quando inviò i suoi discepoli a predicare: che cioè per strada non dovevano portare né oro né argento, né pane, né bastone, né calzature, né veste di ricambio. Comprese meglio queste consegne dopo, facendosi spiegare il brano dal sacerdote. Allora, raggiante di gioia, esclamò: «È proprio quello che bramo realizzare con tutte le mie forze!». E fissando nella memoria quelle direttive, s’impegnò ad eseguirle lietamente.
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