DOMENICA 17 GENNAIO 2021 S. ANTONIO ABATE
Dal Vangelo
In quel tempo, Giovanni stava con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì – che, tradotto, significa maestro –, dove dimori?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio. Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro.
Commento biblico
La memoria liturgica di sant’Antonio Abate ci dona uno dei “segreti” più belli per vivere il rapporto con la Parola. Avvertire quella Parola che ascoltiamo ogni giorno, ogni domenica, come se fosse rivolta a se stessi. Entrare così in una relazione che non viva della sindrome dell’impermeabile, ma della sindrome di un ascolto trasformante. Ecco allora l’itinerario spirituale di Antonio il Grande che ci è noto attraverso il racconto della sua vita che ne fece Atanasio, vescovo di Alessandria d’Egitto. Si narra che quando sentì proclamare in chiesa le parole rivolte dal Signore al giovane ricco: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi tutto quello che possiedi e dallo ai poveri; poi vieni, seguimi e avrai un tesoro nei cieli” (Mt 19,21), come se la lettura fosse proprio per lui, subito Antonio si affrettò a metterla in pratica. Non soffermiamoci sulla domanda che Gesù ci rivolge: “Cosa cercate?”, anch’essa densa di significati esplorativi negli abissi delle nostre coscienze, ma focalizziamoci sulla nostra risposta: “dove dimori?”. Oggi più che mai si pone l’urgenza di chiederci in quale “casa”, in quale domus, abitiamo. Una casa che permette l’azione dello Spirito Santo? O in una casa rivestita di uno strato impermeabile, che fa sì che la pioggia cada sulla propria vita ma scivoli via?
Commento francescano
Francesco d’Assisi è l’uomo dello sguardo fisso su Gesù, ma anche l’uomo che riconosce Gesù in ogni fratello. Francesco ha saputo tradurre e vivere questo sguardo ponendosi la domanda “cosa vuoi che io faccia Signore?”, e a tutti dice: “ho incontrato il Signore”. Ma come ha fatto? Attraverso la sua esperienza della fraternità, del saper stare l’uno accanto all’altro, l’uno per l’altro, scolpendo, giorno dopo giorno, la propria anima. Francesco vive un ascolto trasformante che lo porta quotidianamente a scolpire la propria vita, facendola divenire un capolavoro di Dio. Costruisce così un rapporto che dona una libertà straordinaria che vorrei prendere in prestito dal gioco della dama: la prima regola è che non è permesso fare due passi alla volta; la seconda regola è muoversi solo avanti e non è possibile tornare indietro; la terza, quando si è arrivati in alto, ebbene, allora si può andare dove si vuole.
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