Andarsene e rimanere
Martedì VI Settimana di Pasqua
At 16,22-34 Sal 137 Gv 16,5-11
Nel vangelo di oggi si respira un clima di profondità, tipico di tutte quelle volte in cui comprendiamo che la vita e la morte sono un fatto serio, che l’unica cosa che dà senso ad entrambe è amare.
Manca poco alla morte di Gesù, i discepoli si rattristano e si ammutoliscono: come faranno senza il loro Rabbunì, colui che li ama e gli insegna ad amare? Gesù allora interviene e offre ancora una perla preziosa del vero amore: “è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Paràclito”. Con la sua morte, lascia spazio allo Spirito Santo e ci lascia un’eredità: i suoi gesti, le sue parole, il suo esempio… Lo Spirito Santo ci ricorda tutto questo, perché possa rimanere la memoria di tutto quanto Gesù ha detto e fatto. Anche con i maestri di vita che il Signore ci dona avviene così: quando sono assenti fisicamente rimane chiaro e motivante il dono che sono stati per noi, il loro esempio di vita. Non ci sono, eppure ci sono in noi… Amare vuol dire vicinanza, ma anche assenza perché possa operare il Consolatore.
Spirito Santo riempi il mio cuore della tua presenza.
Dalla Leggenda maggiore di San Bonaventura [FF 1239]
Nell’anno ventesimo della sua conversione, chiese che lo portassero a Santa Maria della Porziuncola, per rendere a Dio lo spirito della vita, là dove aveva ricevuto lo spirito della grazia.
(…) Così disteso sulla terra, dopo aver deposto la veste di sacco, sollevò la faccia al cielo, secondo la sua abitudine totalmente intento a quella gloria celeste, mentre con la mano sinistra copriva la ferita del fianco destro, che non si vedesse. E disse ai frati: ” Io ho fatto la mia parte; la vostra, Cristo ve la insegni “.
Lascia un commento
Devi eseguire il login per commentare.