Neanch’io ti condanno
Lunedì V Settimana di Quaresima
Dn 13,1–9.15–17.19–30.33–62 Sal 22 Gv 8,1-11
Gesù, l’unico che avrebbe potuto giudicare, sceglie di non farlo: non punta il dito contro la donna, né contro i farisei, dei quali poteva smascherare l’ipocrisia. Semplicemente fa silenzio e si china a scrivere per terra. E nelle uniche parole, dette per rispondere all’insistenza degli accusatori, si limita a indicare la strada per risolvere il dilemma: ciascuno guardi dentro se stesso, e cerchi la propria innocenza.
È tipico della nostra fragilità umana, data dal peccato, di veder bene il male degli altri e essere quasi o totalmente ciechi di fronte al proprio. Gesù non ci condanna, ma con pazienza ci offre la grazia, fatta di tempo e silenzio, e l’aiuto, nella sua parola, per guardare dentro noi stessi, e poterci scoprire peccatori proprio o più degli altri, e poter chiedere perdono.
«“Nessuno ti ha condannata?”. Ella rispose: “Nessuno, Signore”. E Gesù disse: “Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più”».
Facci ritornare a te, Signore, e noi ritorneremo, rinnova i nostri giorni (Lam 5,21)
Dalle Ammonizioni [FF 167]
Beato l’uomo che offre un sostegno al suo prossimo per la sua fragilità, in quelle cose in cui vorrebbe essere sostenuto da lui, se si trovasse in un caso simile.
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