Sicuramente! Ma dove?
In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai:
«In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”.
Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”».
E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?». (Lc 18,1-8)
Domenica XXIX del Tempo Ordinario – anno C – Durante il viaggio verso Gerusalemme Gesù forma i suoi discepoli e, in tale contesto, Luca propone una parabola sulla preghiera (vv. 2-4). Il narratore introduce il racconto spiegando il messaggio e anticipandone l’insegnamento: la vicenda emblematica narrata richiama la necessità di «pregare sempre, senza stancarsi» (v. 1). Protagonista della preghiera è una donna debole, senza appoggi virili, abbandonata dalla società e vittima di prepotenti oppressori.
La trama dell’episodio si avvicina a quella della parabola dei due amici (cf. Lc 11,5-8). Luca, infatti, ama raddoppiare le immagini e affiancare vicende simili con protagonisti ora un uomo, ora una donna: è un suo modo per sottolineare e rivalutare il ruolo delle donne nell’esperienza della vita cristiana. Eppure, rispetto alla vicenda dell’amico che va a chiedere il pane in piena notte, c’è qui una profonda differenza: l’altro, a cui si rivolge la preghiera, non è un amico, ma uno estraneo e perverso (v. 2). Ci è facile capire il paragone di Dio con un amico, mentre ci riesce difficile comprendere il paragone con un «giudice» disonesto. È logico che quella vedova si rivolga al giudice per avere giustizia (v. 3): sarebbe suo compito istituzionale garantire l’applicazione del diritto e venire in soccorso a una persona debole e indifesa. Potremmo capire che Dio venga paragonato a un giudice, ma è strano che il racconto sottolinei con forza e insistenza la disonestà del personaggio parabolico. Egli non vuole ascoltare il diritto di quella donna e non gli interessa fare il proprio dovere (v. 4): non è mosso da un tornaconto umano, né da una morale religiosa («Non teme Dio»!) né da una morale laica («Non ha rispetto di nessuno»!) Si decide a fare ciò che la vedova chiede solo perché è stanco di essere «importunato» (cf. v. 5).
Possiamo dire che Dio sia così? La parabola evangelica non si può spiegare come se fosse un semplice insegnamento sull’insistenza e sulla costanza nella preghiera. Non corrisponde allo stile di Gesù Cristo un insegnamento che induca il discepolo a forzare la volontà di Dio per fargli cambiare idea e costringerlo a fare quello che vuole l’uomo! Invece, la parabola è provocatoria e, per capirla bene, bisogna comprendere il ribaltamento della prospettiva.
Gesù vuole dire anzitutto che Dio non è così: Dio non è ingiusto e disonesto; Dio non deve essere convinto a fare il bene. L’insistenza di cui si parla non è la cocciutaggine o la fissazione religiosa: non è un atteggiamento filiale e fiducioso quello che pretende di piegare Dio ai propri voleri, costringendolo a fare la «nostra volontà». Gesù conclude il racconto con una domanda che mira a spiazzare i suoi ascoltatori: se un giudice disonesto cede, a maggior ragione il Signore, buono, misericordioso e giusto accoglie la preghiera dei suoi figli.
Il punto in questione, dunque, non è la persona a cui si chiede, ma che cosa si chiede. La vedova, infatti, chiedeva con insistenza che le venisse fatta «giustizia» contro il suo avversario (cf. Lc 18,3), e Gesù assicura che Dio «farà giustizia prontamente» ai suoi eletti che «gridano giorno e notte verso di lui» (18,7-8). Ecco il centro d’interesse: la «giustizia». Chiedere al Signore che ci «faccia giustizia» significa desiderare con tutte le forze di diventare giusti, di ottenere una buona relazione con lui, di crescere nell’amicizia con il Signore. Significa aspirare con forza e determinazione a vincere il nostro avversario, cioè il male e quell’inclinazione al male che è connaturata al nostro carattere. Ad esempio: se uno non riesce a perdonare chi gli ha fatto un torto e chiede al Signore con costanza e convinzione di essere reso capace di perdono, forse Dio non lo ascolterà? Se insiste nel domandare l’umiltà e la generosità, se supplica «notte e giorno» (cioè, «sempre») per ottenere la pazienza e la castità, volete che Dio non lo ascolti? Ascolterà certamente e «prontamente», garantisce Gesù, perché la domanda è perfettamente conforme al suo volere.
La preghiera, costante e convinta, è segno di chi si fida dell’aiuto divino, «alza le mani» (cf. Es 17,11) e «grida» continuamente (cf. Lc 18,7), facendo tesoro della Parola che ha ascoltato, convinto che si possa davvero realizzare. Il problema, allora è la fede: abbiamo questa fede? Abbiamo, cioè, l’atteggiamento credente e fiducioso per desiderare fortemente ciò che è conforme al progetto di Dio? [C. Doglio]
Non a caso allora notiamo che il brano si chiude con la domanda sulla fede: «Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (v.8). Domanda retorica? Domanda aperta?
Il Signore, per il suo ritorno, esige una fede come quella della vedova. Tale fede, che si fa preghiera incessante, è il nostro sì alla sua venuta. Quando lo trova, lui viene «subito». Anzi, è già presente in mezzo a noi (17,21). La stessa preghiera, soprattutto quella eucaristica, è già sempre un incontro con lui nella fede, finché «si compia la beata speranza e venga il nostro Salvatore, Gesù Cristo» (dalla Liturgia).
«Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (v.8). La risposta carica di speranza (nella carità e nella fede!) sembra poter essere: “Sì, certo!” ma implica anche la successiva domanda: “E dove la troverà?”. E qui la risposta è meno scontata e banale: implica un cammino interiore ed esteriore per cercare testimonianze autentiche di “Credo”, non solo nel catalogo dei santi e beati canonizzati.
San Francesco – “uomo fatto preghiera” (2Cel 95 : FF 682) – ama l’espressione del “pregare sempre senza stancarsi mai” e la propone in due contesti diversi ai frati e ai fedeli laici:
«…Ma, nella santa carità , che è Dio, prego tutti i frati, sia i ministri sia gli altri, che, allontanato ogni impedimento e messi da parte ogni preoccupazione e ogni affanno, in qualunque modo meglio possono, si impegnino a servire, amare, onorare e adorare il Signore Iddio, con cuore mondo e con mente pura, ciò che egli stesso domanda sopra tutte le cose. E sempre costruiamo in noi un’abitazione e una dimora permanente a lui, che è il Signore Dio onnipotente, Padre e Figlio e Spirito Santo, che dice: «Vigilate dunque e pregate in ogni tempo, perché siate ritenuti degni di sfuggire a tutti i mali che stanno per venire e di stare davanti al Figlio dell’uomo. E quando vi metterete a pregare, dite: Padre nostro che sei nei cieli». E adoriamolo con cuore puro, «perché bisogna pregare sempre senza stancarsi mai» (Lc 18,1); infatti «il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli che lo adorano, bisogna che lo adorino in spirito e verità». E a lui ricorriamo come al pastore e al vescovo delle anime nostre, il quale dice: «Io sono il buon Pastore, che pascolo le mie pecore e per le mie pecore do la mia vita». «Voi siete tutti fratelli. E non vogliate chiamare nessuno padre vostro sulla terra, perché uno solo è il vostro Padre, quello che è nei cieli. Né fatevi chiamare maestri, perché uno solo è il vostro Maestro, che è nei cieli [Cristo]» (Francesco d’Assisi, Regola non bollata, XXII : FF 60-61).
«Amiamo dunque Dio e adoriamolo con cuore puro e mente pura, poiché egli stesso, ricercando questo sopra tutte le cose, disse: «I veri adoratori adoreranno il Padre nello spirito e nella verità». Tutti infatti quelli che lo adorano, bisogna che lo adorino nello spirito della verità. Ed eleviamo a lui lodi e preghiere giorno e notte, dicendo: «Padre nostro, che sei nei cieli», poiché bisogna che noi preghiamo sempre senza stancarci (Lc 18,1)» (Francesco d’Assisi, Lettera ai fedeli, II, III : FF 187-188).
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