Una mistica con i piedi per terra
A Pozzomaggiore in Sardegna la beatificazione di Edvige Carboni.
Una mistica con i piedi per terra. Così si può definire Edvige Carboni, la donna sarda che sperimentò sulla propria carne non solo i segni della passione di Cristo, ma anche le umiliazioni e le persecuzioni che ne furono essenziale corredo, la cui vita si svolse interamente tra le mura di casa o dentro la trama degli affetti familiari e delle loro esigenze. Viene beatificata sabato 15 giugno a Pozzomaggiore, la cittadina in diocesi di Alghero-Bosa, che le ha dato i natali, dal cardinale Angelo Becciu, prefetto della Congregazione delle cause dei santi, in rappresentanza di Papa Francesco.
Edvige nacque il 2 maggio 1880 da Giovanni Battista e Maria Domenica Pinna. Seconda di sei figli, venne battezzata due giorni dopo. La sua famiglia viveva all’insegna dei valori del Vangelo e questo clima aiutò a far crescere in lei il desiderio di Dio. A cinque anni fece voto di verginità, perché era convinta fosse volontà di Gesù apparsole, raccontava, come un “bambinello”.
La sua infanzia fu caratterizzata da una vita di preghiera, con una predilezione per l’adorazione eucaristica e la partecipazione alla messa. Dal 1886 al 1891 frequentò la scuola elementare con buoni risultati. Successivamente venne inviata dalla madre ad Alghero e iniziò a seguire corsi privati da Antonia Deriu, una maestra che le insegnò l’arte del ricamo.
Rientrata in casa, venne affidata a un’altra maestra ricamatrice, Lucia Demuro, presidente delle associazioni parrocchiali e catechista. A undici anni, preparandosi fervorosamente, Edvige ricevette la prima comunione. Molto devota, si dedicò all’insegnamento del catechismo in parrocchia. In quel periodo, venne guidata dal parroco, un sacerdote di grande interiorità, don Luigi Carta, che la seguì spiritualmente negli anni della fanciullezza e della giovinezza.
All’età di quindici anni iniziò a frequentare l’associazione delle Guardie d’onore, facendo l’adorazione eucaristica ogni giorno. Nel 1906 entrò nel terz’ordine francescano, ed emise la professione l’anno successivo. Ben presto nacque in lei il desiderio di consacrarsi a Dio tra le figlie della carità di san Vincenzo de’ Paoli, ma la difficile situazione economica familiare non glielo permise. Infatti, non poté realizzare il desiderio a causa della mamma ammalata, e venne invitata dallo stesso parroco a rinunciare.
Ma in casa l’attendevano grandi prove. Dovette prima assistere la zia Giovanna, sorella della mamma, per circa tre mesi. Poi, si occupò della stessa madre debilitata fisicamente e costretta a letto per lunghi periodi. Infine, si dedicò all’assistenza della nonna, che a causa della rottura del femore rimase inferma per tre anni, dovendo peraltro sopportare umiliazioni, ingratitudini e atteggiamenti volgari.
Alla morte prematura della madre, nel 1910, a Edvige toccò ogni sorta di faccenda domestica e di lavoro al ricamo per mantenere i fratelli. Offrì il proprio contributo economico, perché la sorella Paolina e il fratello Galdino potessero terminare gli studi. Sempre disponibile, si occupò dei malati e dei bisognosi del paese. La sua carità era inesauribile e con grande sensibilità e amore si dedicò al servizio degli ultimi.
Dotata di doni spirituali non comuni, si univa a Dio in continua preghiera. Dal 1910 al 1925 dovette affrontare una grande lotta interiore. Fu caratterizzata da una serie di fenomeni mistici. A ventinove anni ricevette le stimmate, ma già da piccolissima le era apparso un segno di croce sul petto. Visse questa esperienza nel nascondimento, usando abiti e guanti che coprissero i segni della passione. A Pozzomaggiore arrivò tanta gente attratta dalla curiosità sulle stimmate, ma Edvige ogni volta si sottrasse a tanta pressione. La sorella Paolina ha ricordato che le autorità mediche controllarono l’autenticità delle stimmate, non attribuendole a isterismo. Di fronte a tanto clamore, la risposta di Edvige fu la preghiera a Dio di nasconderne i segni più vistosi.
I suoi fenomeni mistici erano noti al parroco, al vescovo di Alghero monsignor Francesco D’Errico, e a don Giovanni Manzella, che la conosceva molto bene. La sua situazione divenne motivo di divisione in parrocchia. Qualche compaesano la considerava un’ingannatrice, al punto che il superiore provinciale dei Frati minori la sospese dall’incarico di maestra delle novizie e dal terz’ordine. L’opposizione più dura venne da una donna che chiese al vescovo di istruire un’inchiesta. Nel 1925 l’incarico venne affidato al vicario foraneo di Mara, don Salvatore Falchi, il quale interrogò molte persone del paese. Le conclusioni scagionarono pienamente Edvige dalle accuse.
Nel 1929, quando la sorella Paolina vinse il concorso di maestra elementare, Edvige con il padre si trasferì a Tivoli e poi, dopo vari spostamenti nel Lazio, si stabilì definitivamente a Roma nel 1938. Nella capitale fu seguita spiritualmente, attraverso la direzione e la confessione da bravi presbiteri, che la stimavano per le doti interiori. Tra questi, il gesuita Felice Cappello, monsignor Giuseppe Massimi, monsignor Vitali e il passionista Ignazio Parmeggiani, che le fece conoscere e amare la spiritualità di san Paolo della Croce e di santa Gemma Galgani.
Anche nell’Urbe si distinse per l’impegno missionario, tanto che nel 1941 si iscrisse alla Pia unione dei cooperatori salesiani e nel 1951 a un’associazione a favore delle missioni. Pregò molto per la fine della seconda guerra mondiale e si offrì vittima per il crollo del comunismo. Inoltre continuò a vivere nel nascondimento servendo la famiglia e i poveri. Nei difficili anni della guerra, la sua carità non ebbe limiti e, unita alle grandi penitenze che si imponeva, finì per minare la sua salute. Morì il 17 febbraio 1952, pronunciando il nome di Gesù, dopo un attacco di angina pectoris.
Nicola Gori
L’Osservatore romano, 15 giugno 2019, p. 7
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