vedremo i frutti?
In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».
Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”». (Lc 13,1-9)
III Domenica di Quaresima – anno C – Da Lc 12,1 in poi, Gesù si situa nella prospettiva del giudizio finale. Finora si è rivolto soprattutto ai suoi discepoli, ora dice a tutta la folla quale atteggiamento adottare per prepararsi al giudizio: a.) saper discernere gli annunzi del giudizio (12,54-56), b.) fare il possibile per evitarlo (12,57-59), c.) dare una grande importanza alla conversione (13,1-5), d.) credere nella pazienza di Dio nei nostri confronti (13,6-9). Il Vangelo di questa domenica vuole insegnarci ad essere attenti alla realtà, a saper leggere nel giusto modo i fatti lasciandoci interrogare e cambiare. Nel riflusso verso il privato che caratterizza il nostro tempo, dove ognuno è tentato di pensare solo ai fatti di casa propria e dove ogni forma di corresponsabilità sembra dissolversi a favore di uno sfrenato individualismo, Gesù ci invita ad aprire gli occhi. Lui che nel Vangelo più volte aprirà il cuore e la mente dei suoi discepoli verso la vera intelligenza dei fatti e delle Scritture.
Nella prima parte della pericope, di fronte a due fatti tragici che gli vengono riferiti, Gesù reagisce escludendo che chi subisce disgrazie sia sempre colpevole, ma ribadisce anche che il non convertirsi espone a gravi pericoli (vv. 1-5). Nella seconda parte, mediante una parabola, il maestro parla, contemporaneamente, del pericolo a cui si espone colui che è sterile davanti a Dio (di opere ispirate all’amore) e della paziente misericordia di Dio, che in ogni modo vuole la salvezza degli uomini (vv. 6-9).
Mediante Gesù Dio oggi interviene nel mondo con la parola del suo vangelo (cf. Lc 4,16-21) e con le opere che rendono presente il regno (cf. Lc 11,20). Si tratta dell’intervento definitivo, quello del compimento (cf. Lc 10,23-24), e dunque anche quello della decisione capitale. Ciò che ci viene richiesto è la fede in Gesù e nel suo annuncio, e la «conversione» (vv. 3.5) che essa richiede. La conversione consiste in un ri-orientamento generale della propria vita, come risposta all’azione di Dio mediante Gesù. Per quanto possa essere grande una catastrofe che colpisce l’uomo nei suoi beni e persino nella sua sopravvivenza terrena, ben più grave è la tragedia a cui va incontro chi non si apre all’azione di Dio e non vi risponde. Ciò non significa che il Signore sia un giudice vendicativo e che il male sia una sua rappresaglia. Al contrario, egli è un Padre misericordioso, pronto a far festa per un solo peccatore che si salva più che per novantanove giusti che gli rendono lode (cf. Lc 15).
Il fico si accontenta di una terra povera e rocciosa. In una vigna trova un buon terreno per svilupparsi. È però necessario che produca frutti, altrimenti impoverisce la terra inutilmente e le toglie la luce. L’insegnamento è chiaro. Gli uditori di Gesù incorreranno in una sentenza di esclusione? Se si ostinano, sì. Ma Gesù è venuto a «predicare un anno di grazia del Signore» (4,19), a rivelare la misericordia e la pazienza di Dio. Però una “pazienza operosa”, se non facciamo cadere il dettaglio narrativo che è Dio che si impegna a trovare mezzi e risorse per offrire nuove possibilità al fico. Fico!, sii ciò che devi essere: fruttifero. Uomo, sii davvero te stesso, sii ciò che sei: resta umano! Restiamo umani! Restiamo un “io” davanti a Dio, e non cadiamo nella tentazione di farci “dio” con una piccola consonante indebita.
I segni della grazia di Dio suscitati da san Francesco passano anche per il segno del fico:
«In Spagna, presso San Facondo, un uomo aveva nel giardino un ciliegio che produceva copiosi frutti ogni anno e dava guadagno al suo coltivatore. Una volta l’albero si seccò e si inaridì dalle radici. Il padrone voleva abbatterlo, perché non occupasse più il terreno, ma, consigliato da un vicino di rimettere la cosa al beato Francesco, seguì il suggerimento. Quindi, contro ogni speranza, l’albero in modo miracoloso a suo tempo verdeggiò, fiorì e mise fronde, producendo frutti come prima. Da allora, per riconoscenza di cosı` grande grazia, quell’uomo mandò sempre ai frati di quei frutti». (Tommaso da Celano, Trattato dei miracoli, 189 : FF 1010)
Frate Antonio di Padova – alla luce del vangelo odierno – ci esorta a custodire il nostro “giardino spirituale”:
«…Fortunato invece colui che toglie da sé il cuore di pietra e prende un cuore di carne (cf. Ez 11,19), che, colpito dalle miserie dei poveri, soffre con loro affinché la sua compassione diventi il loro sollievo e il loro sollievo segni la distruzione della sua avarizia. Se uno avesse nel suo frutteto una pianta sterile, forse che non la sradicherebbe e al suo posto non ne pianterebbe un’altra in grado di dare frutto? L’avarizia è la pianta sterile! Perché occupa la terra? Tàgliala! (cf. Lc 13,7), sràdicala, e al suo posto pianta l’elemosina, che ti possa dare frutto per la vita eterna. Te lo conceda colui che è benedetto nei secoli. Amen». (Sermone della Domenica della Resurrezione II, 7)
«“Padrone, il fico làscialo ancora per quest’anno finché io gli scavi attorno e vi metta il letame” (Lc 13,8). Il fico raffigura l’anima, lo scavo la contrizione, il letame è la confessione dei peccati, la quale fa fruttificare l’anima, prima sterile. E quando il vento della superbia o della vanagloria aumenta nel cervello, ossia nella mente, per mezzo della discrezione e della prudenza viene immediatamente lanciato fuori». (Sermone della Domenica di Pentecoste I, 6)
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