Il pastore e la porta
Lunedì IV Settimana di Pasqua
At 11,1-18 Sal 41 Gv 10,1-10
Oggi Gesù ci dice di essere il pastore buono, che ama le sue pecore e se ne prende cura con amore: è il riferimento certo che accudisce le sue pecore, con forza e tenerezza le difende dal pericolo. Il pastore cammina davanti alle pecore e si preoccupa che abbiano nutrimento, le chiama ciascuna per nome perché la sua voce è unica per ognuna. Quella del pastore è una descrizione che rievoca una presenza materna, dallo sguardo attento e pieno di cura e la confidenza amorevole.
Ma poco dopo Gesù si definisce anche la porta, cioè colui attraverso il quale possiamo entrare e uscire, un limite stabile, saldo. La porta, come un padre forte e attento, è la soglia che definisce il passaggio tra l’appartenenza e la libertà. Attraverso di essa entriamo nella casa a cui apparteniamo, ma ne usciamo per crescere e diventare adulti. Come una porta stabile e sicura, ma anche come un pastore premuroso e materno, cioè un po’ padre e anche un po’ madre, il Signore veglia continuamente su di noi, perché possiamo crescere nella fede come persone adulte, e donare anche noi la vita, con cuore libero e fiducioso.
“Rendete grazie al Signore perché è buono, perché il suo amore è per sempre!”
Dalla Vita seconda di Tommaso da Celano [FF 763]
Francesco soleva dire che è dovere del superiore, padre e non tiranno, prevenire l’occasione della colpa e non permettere che cada chi poi difficilmente potrebbe rialzarsi, una volta caduto. Oh quanto è degna di compassione la nostra stoltezza! […] Giudichiamo di nessuna importanza sottrarre al sommo Pastore una pecorella, per la quale il Signore sulla croce gettò un forte grido con lacrime.
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