Q come… quotidiano!
Il tempo “quotidiano” è facile da definirsi e, perciò, da intendere. Basta declinarlo al negativo: non è il tempo straordinario né quello della festa né quello delle sorprese o delle novità. È piuttosto quello, noioso e ripetitivo, che ritma le nostre giornate di tutti i giorni. Alla fine delle quali ci rimane apparentemente molto poco di soddisfacente e di eroico: se non aver compiuto fedelmente il proprio dovere quotidiano. È il luogo della routine e degli orari ben definiti. Generalmente, diciamoci la verità, è il tempo dal quale non vediamo l’ora di evadere. Anche se, ne siamo pur consapevoli, la quotidianità copre la stragrande parte della nostra vita… E perciò è probabilmente in grado di definire con più verità ciò che noi siamo.
Così, che la Bibbia parli di olocausti o sacrifici quotidiani al tempio (cf. 1Cr 16,37; Esd 3,4), o addirittura si paventi quel tempo in cui ciò non sarà più possibile per qualche punizione divina (cf. Dn 12,11), la dice lunga. Non della serie «uffa, anche oggi bisogna fare un sacrificio!», quasi ci si apprestasse a svolgere un gesto ripetitivo e noioso, ogni giorno lo stesso. Ma nella gioiosa consapevolezza che il divino invade ogni secondo della mia giornata quotidiana! È come se Dio si autoinvitasse a partecipare, ad esserci, lì dove io sono: di solito, non solo nei momenti straordinari o fuori dal normale, nei momenti meno prosaici tanto quanto in quelli più solenni. In questo senso anche Paolo può parlare del suo «assillo quotidiano […] per tutte le Chiese» (2Cor 11,28).
Il «quotidiano» diventa un luogo così sacro da entrare di diritto anche nella preghiera che Gesù ci ha insegnato: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano» (Mt 6,11; cf. Lc 11,3). Il termine greco corrispondente è epioúsios, una parola incomprensibile, anche perché non conosciamo quale fosse quella originale aramaica, e Pietro Citati ne dava una spiegazione intrigante. Già Origene, all’inizio del terzo secolo, ricordava che essa non appariva in nessuno scrittore e filosofo greco: era soltanto qui. Egli ignorava che essa ricorreva in un tardo papiro egiziano, insieme a un elenco di spese giornaliere: fave, ceci, olio, fegato, carni, fichi, sale, bietole. Mescolato tra queste parole che sembrano appartenere agli appunti di una casalinga, abbiamo: «mezzo obolo (cioè una somma piccolissima) per epiousion». Chissà, forse il traduttore anonimo che volle renderla in greco, prese un termine dal linguaggio popolare, che non ricorreva nei libri di filosofia e di religione: una parola “della spesa quotidiana”, che tutte le massaie conoscevano. Il pane, allora, per cui preghiamo è quello necessario e indispensabile al nostro viaggio quotidiano. E quale sia questo pane che fa bene e nutre il nostro vivere di ogni giorno, è Francesco a dircelo: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano: il tuo Figlio diletto, il Signore nostro Gesù Cristo, da’ a noi oggi: in memoria e comprensione e venerazione dell’amore che egli ebbe per noi e di tutto quello che per noi disse, fece e patì» (Pater 6: FF 271). Un impegno preciso: «Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: “Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi”, ma non date loro il necessario per il corpo, a che cosa serve?» (Gc 2,15-16).
(Alfabeti improbabili. A zonzo tra Bibbia e Fonti Francescane/80)
Lascia un commento
Devi eseguire il login per commentare.