sguardi francescani – sguardi giovani – sguardi nuovi#4 Dopo una delusione
Beati invece i vostri occhi perché vedono! [Mt 13,16]
Lo sguardo di Francesco sul mondo è sempre semplicemente “poetico”;
sembra umilmente rifare il reale,
come un bambino quando dà il primo nome alle cose.
Francesco inventa la poesia come nuova «lingua dei fratelli».
[BB Francescana, pag. 23]
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Vado veloce lungo questo argine polveroso; le gambe spingono con forza sui pedali;
negli occhi mi scorrono, confuse fra loro, tante immagini, più o meno reali,
di campi, di acqua che scorre, del profilo della città poco lontano,
e della riunione in parrocchia da cui sono appena uscito,
della tensione che c’era nell’aria,
degli occhi stanchi del don, degli occhi distratti e annoiati di altri,
del vuoto che si allarga quando si parla solo di problemi e non si parla di te, Signore.
Ancora una volta seduti attorno ad un tavolo in canonica,
mi aspettavo di vedere, di sentire, di scegliere insieme, grandi valori,
e invece c’era solo svogliatezza, scontro, incomprensione; attorno a me e anche in me.
Allora spingo più forte sui pedali, evito le buche per non perdere lo slancio,
sfogo così il mio intimo in subbuglio,
fra nervosismo, rabbia, delusione, rancore, amarezza.
Quante volte ancora dovrò passare attraverso questo “camminare insieme”
così incerto, apparentemente inutile, lontano dal tuo sguardo ampio e sereno,
così sterile e piatto, ripiegato su noi stessi,
a guardarci come rivali, per prenderci il nostro pezzetto di gloria…
Dov’è, Signore, la tua Gloria? Dov’è il tuo Vangelo vissuto in questo nostro quotidiano,
se non è nemmeno lì dove io pretendo di vederlo?
Mi sa che sono arrabbiato anche con te, deluso da te…
La bici corre lungo l’argine,
qualche metro più in alto del mondo che vivacchia silenzioso lì intorno.
All’improvviso, dopo una curva, fra i pioppi spunta un piccolo gruppo di case;
al centro appare una chiesetta, quasi nascosta, insignificante…
La bici rallenta, cerca con gli occhi una strada fra i campi appena trebbiati,
scende per la viuzza giusta, e si dirige verso quel piccolo campanile,
privato della sua campana da chissà quando.
Fermo la bici accanto alla porta socchiusa. Entro fra gli stipiti scrostati
e un avviso parrocchiale sbiadito, con la data dell’anno scorso.
Voglio solo riprendere fiato,
e poi ridirti, Signore, tutto questo sconforto, e chiederti dove sei.
Ma mi trovo dentro una scena che, capisco subito, mi porterò negli occhi per un po’.
Un gruppetto di anziane chiacchiera in un bisbiglio che vorrebbe essere silenzioso;
sull’altare un piccolo ostensorio,
uno dei raggi è piegato in avanti, ricordo di una caduta passata;
lì davanti un vecchio diacono litiga
con le catene aggrovigliate di un turibolo più nero che argento;
accanto a lui un altro signore, mezzo curvato dall’età,
gli porge con impazienza un fiammifero che continua a spegnersi.
E ti vedo lì in mezzo, Signore, «nascosto in quella poca apparenza di pane» [FF 221],
dietro ad un piccolo vetro annebbiato e sporco,
luminoso e sorridente come solo tu sai essere.
Sei lì in mezzo, fra occhi distratti che non ti guardano,
e sembri dire “è proprio qua che voglio stare!”.
Guardo ancora questa Chiesa sgangherata e inadeguata,
distratta e stanca, mai all’altezza della situazione,
capisco che è anche la mia,
e soprattutto ora mi dici che è anzitutto la tua.
Tu sorridi lì in mezzo, incredibilmente.
E quel tuo sorriso mi scioglie il cuore.
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