L’infermeria del monastero delle clarisse
Ho appena finito il riordino del mattino e chiedo alla sorella inferma: «Preferisci fare adesso la colazione o la vuoi un po’ più tardi?».
«Come vuoi tu, come ti fa più comodo, per me è la stessa cosa!».
Questa risposta mi fa percepire tutta l’attenzione della sorella ammalata nei miei confronti!
Dimenticavo di dire che la nostra infermeria è una piccola corsia di Ospedale: un corridoio con un ampio ingresso che funziona da saletta di incontro e da piccola cappella. Sei stanze con bagno e altoparlante, di cui tre abitate da Sorelle non autosufficienti.
È in questo spazio che Sorelle, ammalate e sane, affrontano e condividono insieme il peso, la fatica, la paura e a volte l’angoscia dell’infermità e dell’avvicinarsi della morte. Questo luogo è soprattutto una scuola di “umanità”. Vi si sperimenta la verità della vita: il limite della creatura umana, i suoi bisogni, la sua solitudine e dipendenza. Lì, anche chi è sano e “serve”, fa i conti con la propria povertà e impotenza di fronte alla malattia e alla sofferenza che vorrebbe eliminare.
È scuola di umanità perchè si impara a confrontarsi con la propria e altrui fragilità, ma si scopre anche, man mano che ci si riconcilia con essa, la bellezza e il valore dei gesti e delle cose umili, l’importanza della tenerezza, e che «il ricevere è divino quanto il donare» (B. Forte).
Viene alla luce non soltanto la verità della persona umana, ma viene messo alla prova anche il “cristiano” nella sua realtà di credente. La sofferenza e la malattia, ogni giorno, sembra contraddire l’amore di Dio nei nostri confronti.
«Perchè?». Interrogativo che non trova risposta. Il mistero del dolore non ci può venire svelato se non ponendo lo sguardo sul crocifisso: lì è riposta la luce che rischiara tutto.
In questa esperienza ci si ritrova a camminare accanto, e simili, ai tanti fratelli in umanità gravati dalla malattia e dal dolore: in niente dissimili da loro come il Verbo Incarnato di nulla esonerato della condizione umana.
Le Fonti Francescane (CAss 83: FF 1614-1615) ci narrano che san Francesco, mentre dimorava a S. Damiano, a motivo delle sue infermità, compose il Cantico di Frate Sole, con la strofa:
«Laudato sì, mi Signore, per quelli ke sostengo infirmitate e tribulazione.
Beati quelli ke’l sosterranno in pace, ka da Te, Altissimo, sirano incoronati» (Cant: FF 263).
Nel medesimo luogo e tempo, compose pure in volgare, a consolazione delle povere Dame di S. Damiano, le seguenti strofe:
«Quelle ke sunt aggravate de infirmitate et l’altre ke per loro suò affatigate,
tutte quante lo sostengate en pace, […]
ka ciascuna serà regina
en celo coronata cum la Vergene Maria» (Aud; FF 263/1).
Questa esperienza di “beatitudine” e “questa capacità di sostenere in pace l’infermità”, Francesco e Chiara l’hanno certamente trovata nello sguardo fisso sul loro Signore Crocifisso.
Questa è pure la testimonianza di tanti nostri fratelli e sorelle di oggi, che vivono “crocifissi” dalla sofferenza e dalla indifferenza del mondo.
Lascia un commento
Devi eseguire il login per commentare.