L come… lume!
In questo caso ci permettiamo di essere meno rigidi e univoci circa la nostra parola di turno. Perché effettivamente lo stesso e medesimo concetto o realtà può essere significato con più parole: luce, lampada, lume, fiaccola, lucerna, candeliere, persino, soprattutto se pensiamo al mondo antico della Bibbia ma anche a quello di Francesco e Chiara, olio, candela. Ci interessa, come dire?, il risultato finale, il “far luce”, al di là dello strumento concreto usato. Prescindiamo anche dall’uso più quotidiano, oggi egregiamente ottemperato da neon e lampadine a basso consumo energetico, a cui questi oggetti solitamente servono: illuminare una stanza. Pensiamo invece all’uso simbolico della luce. Che se dobbiamo sintetizzare il discorso, possiamo addirittura risalire fondamentalmente all’atto creatore, il primo!, di Dio: «Dio disse: “Sia la luce!”. E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e Dio separò la luce dalle tenebre. Dio chiamò la luce giorno, mentre chiamò le tenebre notte» (Gen 1,3-5). Insomma, il primo ad accendere la luce fu niente di meno che Dio stesso. È allora cosa buona e giusta che davanti al Santo dei santi, nel tempio di Gerusalemme ma già nella tenda durante il cammino nel deserto, arda perennemente neanche una sola lampada, ma ben sette (Es 25,37; cf. Ap 7,4-5). Segno, come dire?, che la persona è in casa, e che essa stessa è “luce” («Io sono la luce», Gv 8,12; così Francesco «ha riguardo per le lucerne, lampade e candele, e non vuole spegnerne di sua mano lo splendore, simbolo della Luce eterna», 2Cel 165: FF 750). Mica perché Dio non ci veda, ma perché vediamo meglio noi: «Lampada per i miei passi è la tua parola, / luce sul mio cammino» (Sal 119,105). Significato che è passato più o meno nelle lampade rosse che ardono nelle chiese davanti al tabernacolo o ad altre immagini sacre. Che Francesco vuole che sempre siano accese nella chiesa di S. Damiano (3Comp 24: FF 1425). Ma ci fu persino una luce “caritativa” nella vita di Francesco. Siamo ai primordi dell’avventura di quel manipolo di penitenti di Assisi, nel riparo improvvisato e precario di Rivotorto. Momenti eroici, fatti anche di fame. Un fraticello si sveglia all’improvviso di notte, urlando per la fame. Anche Francesco evidentemente si sveglia, ma per niente scomposto o scandalizzato dalla debolezza del fratello, appurati i motivi della sua sofferenza, non trova di meglio che organizzare un’improbabile “spuntino di mezzanotte”: «Il beato Francesco, da uomo pieno di carità e discrezione, affinché quel fratello non si vergognasse a mangiare da solo, fece subito preparare la mensa, e tutti si posero a mangiare insieme con lui» (CAss 50: FF 1568). Ma non senza aver prima fatto accendere «il lume»: perché non c’è situazione che non possa o non meriti di essere illuminata, prima di decidere checchessia.
Ma arriveremo a che «non vi sarà più notte, / e non avranno più bisogno / di luce di lampada né di luce di sole, / perché il Signore Dio li illuminerà. / E regneranno nei secoli dei secoli» (Ap 22,5). Quando anche noi diventeremo “luce”. Come Chiara: «Questa fu l’eccelso candelabro di santità che rifulge vividamente nel tabernacolo del Signore, al cui grande splendore accorsero, attratte, e tuttora accorrono moltissime, per accendere a quel lume le loro lampade» (BolsC 12: FF 3295).
(Alfabeti improbabili. A zonzo tra Bibbia e Fonti Francescane/75)
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