D come… debito!
Ahimè, argomento dolente ed estremamente di attualità! Perché sul debito sembrano giocarsi i futuri degli stati moderni e persino dell’Europa unita. Per non parlare di quanti s’indebitano, per motivi indipendenti dalla loro volontà, ma talvolta per ludopatie o altre cause ben poco nobili. Il debito sembra il figlio degenere e capriccioso del nostro tempo, che sui soldi presume di aver fondato la felicità. In realtà, è un meccanismo economico che viene da lontano, se pensiamo ai banchieri toscani o agli usurai medievali. La Parola di Dio ha ben poco da dire a questo proposito: se non l’obbligo a non angariare comunque i poveri, ed eventualmente a restituire il dovuto «nel momento fissato» (Sir 29,2). Per san Francesco questo momento è letteralmente “subito”, come fece alla richiesta di preghiere da parte dell’abate di San Giustino: «L’abate si era allontanato di poco quando il santo, rivolto al compagno, gli disse: “Aspetta un poco, perché voglio soddisfare il debito di ciò che ho promesso”» (2Cel 101: FF 688). A dire la verità, non è neanche solo una faccenda legata ai soldi. Ma diventa ben presto un modo di dire ed esprimere, nel parlato quotidiano, il legame che in qualche modo si crea tra le persone: una relazione non alla pari, ma asimmetrica. Dove c’è qualcuno che ha bisogno di qualcosa, e qualcun altro che possiede quella tal cosa e gliela può dare a certe condizioni. La prima delle quali è la sua restituzione, o di qualcosa di pari valore. Così ci sentiamo “in debito” verso chi ci ha aiutato anche solo moralmente. O preghiamo colui a cui abbiamo fatto un favore di “non sentirsi in debito” con noi. Tra le pagine della Bibbia e tra quelle ancora più “economicamente povere” delle Fonti Francescane è soprattutto in questo secondo significato che troviamo menzionato il debito. A parte un riferimento nella Regola di santa Chiara (RsC 4,19: FF 2781: «Non si contragga alcun debito grave, se non di comune consenso delle sorelle e per manifesta necessita»), e un debito pagato a suon di monete (di Bernardo che stava dando via i suoi beni ai poveri) a Silvestro, il futuro frate Silvestro, che vantava un credito con Francesco per via di certe pietre: «“Il debito è pienamente saldato?”. “Pienamente”, replicò quello, che se ne tornò gongolante a casa sua» (Anper 12: FF 1499).
Addirittura, l’uomo e la donna sembrano essere definiti dal loro essere appunto “debitori” nei confronti di altri, e “creditori” verso altri ancora, che perciò sono a loro volta debitori nei confronti dei primi: «rimetti a noi i nostri debiti / come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori» (Mt 6,12; cf. Pater 7-8: FF 272-273). La faccenda è talmente seria che il nostro debito viene estinto solo se noi facciamo lo stesso con chi ha un debito con noi, pur nella disparità quantitativa dei due debiti. Tanto da far diventare il debito metafora stessa del perdono. Come nella parabola dei due servitori insolventi: «Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello» (Mt 18,35). Persino nei confronti di sorella morte, alla quale, facendosi deporre nudo sulla nuda terra, Francesco «voleva pagare il suo debito» (Legm III: FF 1386). Così sembra proprio che anche il cristiano debba indebitarsi: «Non siate debitori di nulla a nessuno, se non dell’amore vicendevole» (Rm 13,8)…
(Alfabeti improbabili. A zonzo tra Bibbia e Fonti Francescane/72)
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