C come… cenere!
Ecco un’altra parola di cui rischiamo di perdere il senso perché ne stiamo perdendo l’esperienza. Liturgicamente ce la ritroviamo davanti, o meglio in testa («In quel giorno digiunarono e si vestirono di sacco, si cosparsero di cenere il capo»: 1Mac 3,47), ad ogni Mercoledì delle ceneri, più o meno collegata alla nostra situazione di creature, che da cenere chissà perché vengono (cf. Gen 18,27; Gb 30,19) e che a cenere, questo un po’ più chiaro per via della decomposizione dopo la morte, tornano (Sap 2,3; così anche Francesco e Chiara: 1Cel 110: FF 512; Fior 7: FF 1835; Proc 3,19: FF 2985), e al bisogno di conversione. E anche qui non si capisce poi ben cosa centri la cenere. I nostri nonni, che con stufe, camini e incendi, ci convivevano invece ogni giorno. E con la cenere ci facevano la «lisciva dei lavandai», un detersivo tanto bio e gratis quanto efficace, tanto da diventare immagine del castigo di Dio (Ml 3,2). O ci pulivano dalla fuliggine le catene dei focolari e i paioli che stavano tutto l’anno sul fuoco. Più chiaro, ed è collegato questo sì al tema della conversione, è la cenere quale “oggetto penitenziale”. Per esprimere simbolicamente il proprio stato di disagio e il desiderio di cambiamento, ma anche per accompagnarlo in maniera concreta e tangibile: «Cenere mangio come fosse pane» (Sal 102,10); re, cittadini, grandi e piccoli, persino gli animali si cospargono di cenere dopo l’invito alla conversione predicato da Giona (Gn 3,6).
E seppur nel Nuovo Testamento significativamente di cenere ce ne sia davvero molto poca, e come poteva essere diversamente se lo Sposo era con loro (Mt 9,15) e «bisognava far festa» (Lc 15,32), tant’è che le uniche citazioni rimandano agli antichi sacrifici o a episodi della storia del popolo ebraico (cf. Eb 9,13; 2Pt 2,6; Lc 10,13), il simbolo era troppo esplicito per essere abbandonato. Per Francesco la cenere è «sorella» e per giunta «casta» (3Comp 15: FF 1414), salutare condimento per i cibi troppo sofisticati (LegM 5,1: FF 1086). Ma soprattutto è “potente” il suo valore evocativo: «Mentre si trovava presso San Damiano, il padre fu supplicato più volte dal suo vicario di esporre alle sue figlie la parola di Dio e, alla fine, vinto da tanta insistenza, accettò. Quando furono riunite come di consueto per ascoltare la parola del Signore, ma anche per vedere il padre, Francesco alzò gli occhi al cielo, dove sempre aveva il cuore, e cominciò a pregare Cristo. Poi ordinò che gli fosse portata della cenere, ne fece un cerchio sul pavimento tutto attorno alla sua persona, e il resto se lo pose sul capo. Le religiose aspettavano e, al vedere il padre immobile e in silenzio dentro il cerchio di cenere, sentivano l’animo invaso da grande stupore. Quando, a un tratto, il santo si alzò e nella sorpresa generale in luogo del discorso recitò il salmo Miserere. E appena finito, se ne andò rapidamente fuori». Noi forse ci capiamo poco o niente. Ma Chiara e le sorelle «per questo comportamento carico di significato […] provarono tanta contrizione, che scoppiarono in un profluvio di lacrime e a stento si trattennero dal punirsi con le loro stesse mani» (2Cel 207: FF 796). Non ci sorprende, allora, che l’ultimo abito che Francesco volle indossare, in punto di morte, procuratogli da frate Jacopa, doveva essere «color cenere» (Spec 112: FF 1812). Giusto per dirimere il dubbio di che colore debba essere l’abito dei frati…
(Alfabeti improbabili. A zonzo tra Bibbia e Fonti Francescane/71)
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