A come… agnello!
Brutta storia per gli agnelli nella Bibbia! Con buona pace per gli animalisti. Del resto era inevitabile per un popolo che nasce nomade e dedito alla pastorizia, che l’agnello assurgesse a simbolo di futuro e di vita, simbolo prezioso, da accudire con attenzione e gelosia, ma capace anche di parlare alle dimensioni profonde e spirituali dell’uomo. Non possiamo allora non notare che l’agnello, prima di diventare “carne da macello” per sacrifici e cene pasquali, ci parla di gioia ed esultanza, di esuberanza e di pienezza di vita: «Quando Israele uscì dall’Egitto, / la casa di Giacobbe da un popolo barbaro, […] / le montagne saltellarono come arieti, / le colline come agnelli di un gregge» (Sal 114,1.4). E ancora: «Furono condotti al pascolo come cavalli / e saltellarono come agnelli esultanti, / celebrando te, Signore, che li avevi liberati» (Sap 19,9). L’agnello, anche nella sua fragilità e piccolezza, nel suo non essere in grado di badare e bastare a se stesso, diventa icona del nostro rapporto con Dio, il buon pastore (cf. Os 4,16). Gesù riprende alla lettera questo linguaggio, in particolare nel mandato a Pietro: «Gesù disse a Simon Pietro: “Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?”. Gli rispose: “Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene”. Gli disse: “Pasci i miei agnelli”» (Gv 21,15). A questo punto che il nostro povero agnello, e in particolare il suo sangue, diventasse anche segno della liberazione dall’Egitto e, da lì in poi, di ogni pasqua ebraica (Es 12,13; per 2Cr 35,7 una volta ne furono immolati ben… 30.000!); e che, soprattutto attraverso il Servo di Jahvè (Is 53,7; cf. Ger 11,19; 1Pt 1,19), Gesù stesso quasi si vestisse di questo simbolo, forse ci è un po’ più comprensibile: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!» (Gv 1,29). Fino a fare di lui «il tempio» della nuova Gerusalemme (Ap 21,22), colui che apre il libro della vita (Ap 13,8), spalancando al futuro e al suo senso. La stessa figura dell’agnello in trono (Ap 5,13) sostituisce spesso l’immagine di Gesù, soprattutto nell’arte antica.
Se non teniamo presente lo “spessore” di questo simbolo, rischiamo di fare di san Francesco solo un animalista ante litteram. Egli ne ha liberati tanti (cf. LegM 8,6: FF 1145; 1Cel 79: FF 457) e li ha amati come tutte le altre creature animate e no, ma «aveva però, tra tutti gli animali, una particolare preferenza e una palese tenerezza per gli agnelli, perché nella Scrittura Gesù Cristo, per la sua umiltà, è paragonato spesso e a ragione all’agnello» (1Cel 76: FF 455). Francesco è particolarmente esigente su questo: «L’uomo infatti disprezza, contamina e calpesta l’Agnello di Dio quando, come dice l’Apostolo, non distinguendo nel suo giudizio né discernendo il santo pane di Cristo dagli altri cibi o azioni, lo mangia da indegno, ovvero, pur essendone degno, lo mangia con leggerezza e senza disposizioni […]» (LOrd 19: FF 219). La promessa è per tutti quella che Chiara fa intravedere ad Agnese di Boemia, «sposata all’Agnello immacolato» (4Lag 8: FF 2900)! Quando, finalmente e già ora seppur in modo imperfetto, «il lupo dimorerà insieme con l’agnello» (Is 11,6), Questa volta con buona pace per tutti i cappuccetto rosso e i lupi alberto…
(Alfabeti improbabili. A zonzo tra Bibbia e Fonti Francescane/69)
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