Il parlatorio delle clarisse
La vita contemplativa ha come scopo la ricerca sempre incompiuta di Dio e la comunione con Lui, nella separazione materiale dal mondo. Il contatto con l’esterno è un’eccezione alla vita ordinaria. Esso avviene generalmente in parlatorio e si riduce notevolmente nei tempi liturgici che preparano al Natale e alla Pasqua.
In epoca medioevale, il termine parlatorio (locutorium) indicava un’apertura nel muro provvista di lamina perforata da fori sottili e munita di chiodi di ferro sporgenti in fuori, al cui interno era applicato un panno nero tale da non consentire alle sorelle di vedere fuori o di essere viste (cf. Regola di Papa Urbano IV, cap. XVI).
Santa Chiara d’Assisi non considera la separazione dal mondo un assoluto, ma un mezzo finalizzato alla cura della relazione col Signore. Nella sua elasticità, ella consentirà, ad esempio, la rimozione del panno nero dalla grata per la predicazione della Parola o per colloqui, e l’accesso in parlatorio sarà valutato tenendo conto del bene degli altri e di quello spirituale della sorella (cf. RsC 5,10.17: FF 2785-2786).
Il parlatorio è oggi un luogo accogliente, le cui grate spesso si aprono a simboleggiare una vita separata, custodita, ma non distante né disinteressata alle necessità degli altri. La vita di clausura non è sinonimo di solitudine o di chiusura. Essa dona all’anima fedele di accogliere il Signore che i cieli non possono contenere (cf. 3LAg 21-22: FF 2892) e, in Lui, quanti ci affiancano o bussano alle nostre porte.
Il parlatorio è luogo di incontro e scambio di esperienze, di arricchimento reciproco, in cui il silenzio abitato dalla Sua Presenza si fa parola buona, che dona speranza, conforta e aiuta a ripartire. Ma esso è anche il luogo in cui si invita a ri-centrare la vita in Colui che Francesco ha definito «il Bene, tutto il Bene, il sommo Bene» (cf. ad es. Lora 10: FF 265). Santa Chiara, nel fare memoria di un cammino di sequela di Cristo povero segnato da difficoltà – per l’opposizione esterna e la fragilità umana –, definirà sab Francesco sua «colonna e unica consolazione» solo «dopo Dio» (TestsC 37-39: FF 2838). L’essere consolati da Dio, infatti, è molto più del sollievo – senza dubbio prezioso – che possiamo offrirci reciprocamente, perché dà la possibilità di sperimentare come Egli possa salvare e liberare non dalla sofferenza ma nella sofferenza stessa. La Sua tenerezza paterna, cioè, permette di compiere un passaggio pasquale, e di vivere ogni situazione in «perfetta letizia» (Plet 15: FF 278).
San Francesco sarà «spinto fortemente ad abbandonare del tutto il mondo» proprio perché «totalmente visitato dalla consolazione divina» (TestsC 10: FF 2826). Egli comincerà a scoprire la sua vera identità, la sua vocazione, nella relazione con il «Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione» (2Cor 1,3), ossia nell’esperienza dell’essere amato profondamente nella sua piccolezza. Cristo, infatti, volto del Padre, è la Luce alla cui luce la realtà è trasfigurata, lo «specchio dell’eternità» (3LAg 12: FF 2888) in cui siamo chiamati a riflettere il nostro volto ogni giorno. Egli è Colui che ci rivela a noi stessi.
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