La foresteria del monastero delle clarisse
Se cercassimo nelle Fonti Francescane tracce di una “foresteria” per l’accoglienza ai pellegrini o ai viandanti, non ne troveremmo, se non in termini non troppo felici per esempio quando Francesco, in marcia verso Gubbio e appena percosso da briganti, «finalmente arrivò a un monastero di monaci dove rimase parecchi giorni vestito solo di un povero camiciotto a far da sguattero in una cucina e per cibarsi era ridotto a desiderare almeno un po’ di brodo, ma non trovando pietà e non riuscendo a trovare neppure qualche vecchio abito, ripartì, non per sdegno, ma per necessità (…). Qualche tempo dopo, divulgatasi ovunque la fama dell’uomo di Dio, il priore di quel monastero, ripensando al trattamento usatogli, andò a chiedergli perdono, in nome del Signore, per sé e per i suoi fratelli» (1Cel 16: FF 347).
Anche nell’esperienza di Chiara a San Damiano, non sembra essere concepito questo luogo adibito all’ospitalità; sappiamo che a San Damiano vivevano dei frati, ma era una vera e propria fraternità voluta da Francesco per garantire alle monache l’assistenza spirituale e materiale.
La foresteria, come luogo di accoglienza e ospitalità, nasce in ambiente benedettino ma oggi, quasi ogni comunità monastica, ha riservato una zona del proprio monastero a “foresteria”. Tale ambiente, separato dalla clausura, è uno spazio in cui gli ospiti possono sostare, riposare, fermarsi, trovare silenzio, accoglienza, cura, ascolto e preghiera.
La Regola di San Benedetto dedica all’ospitalità un intero capitolo. Scrive Benedetto: «Tutti gli ospiti che giungono al monastero siano ricevuti come Cristo, poiché un giorno egli dirà: “sono stato ospite e mi avete accolto” e a tutti si renda il debito onore», e aggiunge: «All’ospite si mostri tutta l’umanità possibile!» (Regola di Benedetto 53).
Sostare per qualche giorno in un monastero significa avere il coraggio di fermarsi, di vivere il “deserto”, di stare in silenzio che, come scrive John Chryssavgis, teologo australiano, «è un modo di osservare e un modo di ascoltare quanto avviene dentro e intorno a noi. E’ un modo di interiorizzare, di fermarsi e quindi di esplorare le segrete del cuore e il centro della vita. E’ un modo per penetrare le cose, onde non rinunciarvi. Il silenzio è pienezza, non vuoto; non è un’assenza, ma consapevolezza di una presenza». La foresteria non è un albergo, non si viene per turismo e non è fonte di guadagno per la comunità che accoglie: non chiediamo mai nulla a coloro che soggiornano nel monastero come ospiti, ciò minerebbe il senso dell’ospitalità monastica e impedirebbe, a chi non ha soldi, di essere accolto. L’ospite è visto come Cristo stesso, beneficia dell’ascolto delle sorelle, è accolto con servizio di carità, condivide la preghiera e l’ascolto della Parola con la comunità, ma l’ospite è soprattutto un dono: è venuto a portare lui qualcosa, a liberarci lui dalla mentalità mondana che, se pur monache, abbiamo ancora in noi, è venuto lui a edificare noi con la sua vita di sofferenze e gioie, con la dura testimonianza di chi vive le preoccupazioni del perdere il lavoro, delle separazioni familiari, dei figli che prendono brutte strade… L’ospitalità nelle nostre foresterie non è solo un servizio, è scambio, confronto, arricchimento umano e spirituale reciproco. È vero che chi si accosta ai nostri monasteri lo fa per ricevere, ma sono tutte persone ricche di doni, di esperienze, di ferite, portatrici di valori che possono essere testimonianze, consolazioni e conferme per la nostra vocazione.
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