Misericordia ora e per l’eternità: Benedizione e preghiera per le sorelle clarisse defunte
“Alla morte poi di una sorella del nostro monastero,
dicano cinquanta Pater noster” (RegsC 3,7: FF2767).
Quando parliamo della Forma Vitae di Chiara d’Assisi, indichiamo un testo che non può essere racchiuso nel concetto di “Regola”. La Forma vitae di Chiara, approvata da papa Innocenzo IV, non è un insieme di norme finalizzate al raggiungimento di un obiettivo – questo spiega la mancanza di precisione normativa del testo –, bensì uno stile di vita che non può essere contenuto o incastrato in formule: “vita” fa riferimento, infatti, a qualcosa che solo lo Spirito del Signore può suscitare, e che cresce secondo i disegni di Dio.
Unico è il desiderio che, al di sopra di tutto, anima Chiara e le sue sorelle: avere in se stesse «lo Spirito del Signore e la sua santa operazione» (RegsC 10,10: FF 2811), perché è il prorompere dello Spirito che spinge sulla via del santo Vangelo. Esse ne hanno sperimentato la potenza, la capacità di dilatare il cuore e di rendere perseverante, veloce e sicura la corsa verso la meta, spedito e senza inciampi ai piedi il procedere sul sentiero della beatitudine (cfr. 2LAg 12: FF 2875).
Quella voluta da Chiara e dalle sue sorelle è una “Forma di vita” finalizzata a vivere «in comune, nell’unità degli spiriti» (Bolla Innocenzo IV: FF 2745): è «il modo di santa unità e di altissima povertà» consegnato loro a voce e in scritto dal beato padre san Francesco (cfr. Bolla Innocenzo IV: FF 2749), e che Chiara riporterà nella sua Regola: «Siano sollecite nel conservare reciprocamente l’unità della scambievole carità, che è il vincolo della perfezione» (RegsC 10,7: FF 2810).
È l’eredità che oggi Chiara e Francesco consegnano a noi.
Forte come la morte, l’amore in Cristo possiede un’intuizione tale da consentirgli di «vedere nell’invisibile e di ascoltare senza suoni» (papa Francesco), ossia di vivere in comunione profonda: «Tutti quelli che sono di Cristo, avendo il suo Spirito, formano una sola Chiesa e sono tra loro uniti in Lui» (Lumen Gentium 49).
Pertanto nulla, neppure la morte, potrà separarci. Casomai essa potrà condurci ad un incontro differente, altro, con i nostri cari, e particolarmente con coloro che hanno condiviso con noi le gioie e le fatiche della quotidianità: le nostre sorelle defunte.
Pregare per loro, la cui vita non è stata tolta, ma ha semplicemente subito una trasformazione, oltre ad essere «cosa santa e devota» (2Mac 12,44-45), è anche un modo per aprirci ad una comunione più autentica e profonda. Pregare per le nostre sorelle defunte può non solo aiutarle, ma anche «rendere efficace la loro intercessione in nostro favore» (Catechismo della Chiesa Cattolica 958).
Chiara vorrà che le esequie si celebrino all’i
nterno della clausura. Il suo sguardo sembra posato sulla sorella nel momento della morte, definito con un verbo tratto dalla liturgia, “migrare”, che rinvia a un passaggio, a un’attesa, a un volo nella pace, nella certezza che Colui che l’ha creata e ha messo in lei lo Spirito Santo, che sempre l’ha guardata come una madre il suo figliuolo (cfr. Proc 3,20: FF 2986), non distoglierà particolarmente in questa “ora” il suo sguardo da lei.
Lieta nel Signore sempre, Chiara.
Come lei, Francesco: egli trascorrerà i pochi giorni che gli rimarranno prima di morire in un inno di lode, esortando tutti all’amore divino. «Perfino la morte, a tutti terribile e odiosa» esorterà alla lode e, andandole incontro lieto, la inviterà: «Ben venga, mia sorella Morte!» (2Cel 217: FF 809).
Pellegrini e forestieri in questo mondo, chiediamo al Signore di aiutarci a crescere sempre più nell’unità e nella misericordia verso tutti, e particolarmente verso le nostre sorelle nella fede, fino al giorno in cui «non ci sarà più la morte, né lutto né lamento né affanno» (Ap 21,4).
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