Dall’incontro col cardinale Ugolino a quello col sultano Melek-el-Kamel
Concluso il Capitolo, i frati si ramificarono a gruppi diretti alle sedi loro assegnate. Francesco s’incamminò verso la sua amata e travagliata Francia, terra nobile e gloriosa, ma anche arena di brutali conflitti religiosi.
Ma in quella lunga marcia, che lo avrebbe condotto nella sua seconda patria lontana, sempre presente nei suoi sogni giovanili, quando era ancora acceso e vivo in lui il furore dell’epopea cavalleresca, attraversando la Toscana, volle incontrarsi – sapendolo soggiornante a Firenze, come legato pontificio della Toscana e della Lombardia – col Cardinale Ugolino dei Conti di Segni, Vescovo di Ostia, membro della stessa famiglia di Innocenzo III.
A margine di quel proficuo colloquio, il Cardinale Ugolino dissuase Francesco dal continuare quel viaggio e lo persuase a ritornare a Santa Maria degli Angeli, sede generalizia dell’Ordine, per attendere al suo ruolo di guida dell’intera fratellanza. Francesco accettò il consiglio del Prelato: ritornò alla Porziuncola e al suo posto, per la “provincia” francese, fu nominato “ministro” frate Pacifico. Purtroppo, però, almeno in quella prima fase, l’esperienza delle “Province” registra, fatta eccezione per la sola Gerusalemme, un totale fallimento e in alcuni casi, come in Germania, un vero e proprio disastro.
I frati furono un po’ ovunque scambiati per eretici e come tali vilipesi e torturati. Aumentavano, intanto, all’interno dell’Ordine, i problemi di gestione della fratellanza; non tutti coloro che si accostavano alla comunità erano idonei ad assolvere le osservanze evangeliche.
L’adorazione di Cristo era matrice presente e comune a tutti gli aderenti, ma l’imitazione di Cristo come sistema di vita e la povertà assoluta elevata a virtù prioritaria erano pratiche estremamente dure e difficili anche per quelli che liberamente, in piena coscienza, si accostavano alla comunità.
Col clima agitato dalle tensioni interne, acuito dagli insuccessi delle missioni nelle “province” d’oltralpe, si svolse il Capitolo Generale, a conclusione del quale, ospite del Cardinale Ugolino là presente, Francesco si recò a Roma, per prospettare al Papa le difficoltà che i frati incontravano nelle loro missioni, attribuibili per lo più all’ostilità dei vescovi e dei sacerdoti, i quali, ignorando l’autorizzazione alla predicazione dei Minori concessa da Innocenzo III, li scambiavano, il più delle volte, per eretici, rivoltandogli contro la furia del popolo.
Una volta a Roma, nella Curia Papale, Francesco, incaricato di predicare al cospetto di Onorio III e dei Cardinali del Sacro Collegio, improvvisò, in volgare umbro, un panegirico, nel quale sollecitò la Chiesa ad abbandonare la superbia ed aprirsi, con maggiore umiltà e misericordia, alle verità evangeliche, esortandola, in nome del Signore, all’amore e alla comunione degli uomini e dei popoli nella pace. Quella predica fece vibrare così forte le corde dell’anima dei Cardinali, ed in particolare del Papa, il quale volle ricompensare Francesco e tutta la fratellanza emanando la bolla “Cum Dilecti”, con la quale assicurava ai vescovi di ogni diocesi e di ogni nazione l’assoluta fedeltà alla Chiesa e l’autentico spirito Cristiano dei “Frati Minori”.
Rinvigorita dalla “Bolla” papale, la fratellanza decise, nel Capitolo di Pentecoste, nuove missioni per la Germania, la Francia, la Spagna e il Marocco. Francesco espresse il desiderio di ritentare il viaggio per la Siria. Quindi, lasciando alla Porziuncola, in sua assenza, due frati vicari, accompagnato da frate Illuminato, s’imbarcò ad Ancona, alla volta di Acri, per poi dirigersi verso Damietta, nei cui pressi, divisi da una striscia di terra, schierati uno dirimpetto all’altro, si affrontavano, in implacabili battaglie, l’esercito cristiano e quello musulmano.
Una volta là, sconvolto da tanto strazio, Francesco chiese ed ottenne dal legato pontificio Pelagio, Cardinale di Albano, generalissimo per investitura di Innocenzo III, il permesso di superare la trincea e, mettendo a repentaglio la vita, si spinse verso l’accampamento dei saraceni con l’intento di incontrare il Sultano.
Ma, non appena raggiunse il fronte musulmano, fu fatto prigioniero, incarcerato e torturato e fu solo dopo estenuanti tribolazioni, introdotto al cospetto del sultano Melek-el-Kamel. In quell’enorme e ricca sala del trono, Francesco predicò al Sultano, speranzoso di infondergli, attraverso la parola del Signore, l’amore per il prossimo, foss’anche suo nemico, ed indurlo redente in Cristo alla pace. Melek-el-Kamel fu affascinato dal coraggio di quell’uomo, che con spirito infervorato esortava alla fede del suo Dio Uno e Trino, a mani spoglie, con la sola forza della parola e lo invitò a restare con lui.
(da “Nacque al mondo un Sole” di Nicola Savino/15)
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