Dal ritorno ad Assisi alla predica dell’Assunta
Nasceva, in questo modo, pur se solo formalmente, l’Ordine dei “Frati Minori”; ed essi “realmente erano minori, sottomessi a tutti, per gettare così le solide fondamenta della vera umiltà, sulla quale si potesse svolgere l’edificio spirituale di tutte le virtù”. Francesco, quel menestrello di Dio, che voleva vivere la sua esistenza unicamente e pienamente asservita alle prescrizioni del Vangelo, in totale libertà, fuori dai vincoli della gerarchia ecclesiastica e dagli ordinamenti monastici, era diventato ora fondatore, capo spirituale e guida di un “Ordine” riconosciuto dalla Chiesa di Roma.
Appena fuori dalla sede papale, gratificati dall’approvazione, benché solo orale, della “Regola”, i nuovi discepoli di Cristo s’incamminarono, in corteo, verso il Vaticano, per rendere omaggio al Principe degli Apostoli, predicare sulla sua tomba e di là ringraziare il Signore del dono ricevuto ed implorarlo di proteggere e illuminare il neonato Ordine.
Dopo le suppliche e le preghiere, dalla Basilica di San Pietro mossero sulla strada del ritorno; ma giunti nei pressi di Orte vollero fermarsi e lì restarono a mendicare e, forti dell’autorizzazione della Santa Sede, a predicare in quel borgo, ovunque e a chiunque, per circa quindici giorni; dopo di che, per non porre radici al loro spirito nomade, riattraversando la Valle di Spoleto, giunsero finalmente ad Assisi, alle loro capanne nel bosco della Porziuncola, alla loro quotidianità di uomini fieri di donarsi a Dio e, per suo riflesso, a tutti.
Era quella una comunità di uomini felici e “poiché non possedevano nulla, non s’attaccavano ad alcuna cosa, e niente temevano di perdere. Erano perciò sempre sereni, liberi da ogni ansietà e pensiero, senza affanno per il futuro”. In quel periodo, altri uomini, di diverse estrazioni sociali e d’ogni grado nelle professioni, identificandosi col modello di vita contenuto nella Regola, vollero entrare nell’Ordine: arrivò da Marigliano Masseo; fu la volta poi di Leone, poco dopo si unì alla comunità il musicista e compositore Guglielmo Divini, denominato Pacifico; dalla piazza centrale di Assisi, dal suo imponente palazzo, scese alla Porziuncola, per abbracciarsi con Cristo, Rufino, della nobile famiglia degli Offreduccio.
Intanto, non appena informato del rientro dei frati alla Porziuncola, il Vescovo Guido, per attestare al popolo assisano il riconoscimento papale alla Regola, invitò Francesco a rivolgere ai fedeli, dalla cattedrale di San Rufino, in occasione della festa dell’Assunta, una sua omelia.
Quel giorno, con le navate fitte all’inverosimile, Francesco, liberatosi anche del saio per essere nudo davanti al Signore e alla sua Vergine Madre, salì sul pulpito e, sciogliendosi in un’estasi mistica, con il corpo vibrante in un tutt’uno con la parola, iniziò il panegirico, schiarendo, con un susseguirsi di efficaci antitesi, lo stridente contrasto tra la brutalità della discordia e la purezza della concordia, tra l’intollerante egoismo e la gioia della condivisione, tra il ripugnante odio e la grazia dell’amore, tra la dannazione dei conflitti e la beatitudine della pace, raggiungibile soltanto rinunciando alla fonte della discordia, che s’annida nell’avidità malvagia di potere e di ricchezza.
E fu l’apoteosi, il definitivo riscatto delle residuali diffidenze, l’unanime riconoscimento del suo apostolato come dono di Dio. Quando, qualche mese dopo, fu sottoscritto ad Assisi, tra il ceto sociale dei Maggiori e quello dei Minori, lo “statuto di pace” furono in molti a ritenere che buona parte di quella ritrovata concordia, dopo tanti contrasti, era da attribuirsi alla forza persuasiva delle prediche di Francesco.
(da “Nacque al mondo un Sole” di Nicola Savino/11)
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