Dalla misericordia contemplata… la medicina
“Contempla l’ineffabile carità, per la quale [Cristo] volle patire sull’albero della croce e su di esso morire della morte più vergognosa” (Lettera Quarta, Fonti Francescane 2904): così Chiara, ormai prossima alla morte, scrive ad Agnese di Boemia, e mentre la invita alla contemplazione del volto di Cristo, lascia intravvedere qualcosa del segreto della sua preghiera. Ciò che insegna ad Agnese è ciò che Chiara per prima vive. Anni addietro, in un’altra lettera, le aveva scritto: “Guarda il tuo sposo, il più bello tra i figli degli uomini, divenuto per la tua salvezza il più vile degli uomini, disprezzato, percosso e in tutto il corpo più volte flagellato, morente tra le angosce stesse della croce: guardalo, consideralo, contemplalo, desiderando di imitarlo” (Lettera Terza, FF 2879). Come Francesco, Chiara contempla assiduamente il Cristo crocifisso: “Il pianto della passione del Signore le era familiare – racconta la Leggenda – … E tanto spesso le torna alla memoria Colui, che l’amore le ha impresso profondamente nel cuore, che è come ebbra di passione per la passione del Signore” (FF 3213). Nel Crocifisso, Chiara vede lo smisurato amore di Dio, amore “ineffabile”, che non si può esprimere a parole: lui, “il più bello tra i figli degli uomini” è diventato “il più vile degli uomini”. Perché? “Per la tua salvezza”, scrive Chiara ad Agnese, e ancora: “Egli per noi tutti sostenne il supplizio della croce” (FF 2863). Davanti al mistero del Figlio di Dio “che tutto si è donato” per amore nostro, Chiara si commuove, piange e non solo: insegna alle novizie a fare altrettanto. Non lo sappiamo, ma possiamo pensare che le lacrime di Chiara scaturiscano dal vedersi amata così tanto, fino al dono della vita: con san Paolo, può dire “Gesù Cristo mi ha amato e ha dato se stesso per me!” (Gal 2,20). Ma non dobbiamo pensare che Chiara si “chiuda” nella relazione col “suo” Gesù, al contrario: l’assidua contemplazione dell’infinita misericordia di Dio allarga il suo cuore, lo rende sempre più capace di commuoversi di fronte ad ogni sofferenza e miseria (misericordia non vuol forse dire “dare il cuore alla miseria”?) e le suggerisce anche come venire incontro alle necessità delle sue sorelle e di tanti che giungono a San Damiano in cerca di conforto. Dobbiamo pensare che nel Medioevo non c’erano tutte le medicine di cui noi disponiamo; freddo, umidità, fame, mancanza d’igiene erano per tanti parte della quotidianità, comprese Chiara e le sue sorelle. Era facile ammalarsi, e per tante malattie oggi curabili non c’era alcun rimedio. Chiara potrebbe sentirsi impotente davanti alla sofferenza delle sue sorelle e dei suoi fratelli ammalati, ma non si arrende e trova la medicina proprio in quella croce su cui tante volte posa il suo sguardo. “Quando infatti faceva sui malati il segno della croce che dà la vita – racconta il biografo – le malattie fuggivano in modo meraviglioso”(FF 3218). Davvero quello che era strumento di morte diventa fonte di vita! Nella sua povertà, Chiara ricorre a Colui che “si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori” (Is 53,4) e ottiene per tanti la guarigione, segno tangibile della tenerezza di Dio per ogni suo figlio.
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